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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

            città gli fu offerto un banchetto da duecentoquaranta persone. I bambini delle scuole ebbero vacanza
            e sparsero canestri di fiori sul suo passaggio; e Re Cristiano IX gli mandò un affettuoso
            telegramma. Quando poi il vecchio venerando consentì a leggere due novelle all'Istituto di
            Meccanica, l'entusiasmo de' suoi concittadini non conobbe più limiti...
                   E poi? Che cosa avvenne poi? Perchè qualche cosa di bello ha da venire: lo diceva l'abete, e
            lo diceva sempre anche l'Andersen.
                   È vero. Ha da venire qualche cosa di più bello.
                   Rolighed è un bel nome: in danese significa tranquillità; e Rolighed è il nome di una bella
            villa dei dintorni di Copenaghen, che appartiene ai signori Melchior. In quella villa, presso quegli
            ottimi amici, il vecchio poeta si sentiva come in casa propria, e soleva occupare due stanze al primo
            piano, con una grande veranda aperta sul giardino. In quella villa, assistito dalla signora Melchior e
            dalla mamma di Carlottina, il buon vecchio poeta si spense in pace. Non sofferse quasi punto, e
            negli ultimi giorni ripeteva ancora: «Com'è bella la vita! Come sono felice! Mi par di andarmene
            dolcemente, vidt, vidt, dove non v'ha dolore...» — E il primo di agosto 1875 trovò l'ombra tranquilla
            promessa dal nome della dolce casa.
                   Quando leggete la novella del  lino, ripensate a lui. In vero, anche fosse stato meglio
            preparato alla vita, l'Andersen avrebbe certo molto sofferto nella lunga ascesa, che non è mai senza
            triboli. Egli stesso confessava però la sua eccessiva sensibilità: «Sono una strana creatura,» —
            scriveva alla madre nell'ottobre 1826: «Se il vento soffia un po' forte, subito gli occhi mi lacrimano.
            E pure so benissimo che la vita non può già essere tutta serena come un bel giorno di maggio.»
                   Si ingegnò dunque di preparare gli altri alla lotta, infondendo, nei fanciulli specialmente, il
            rispetto della vita in ogni più umile forma, perchè anche il rospo ha in fronte la sua gemma. E con le
            belle immagini gentili cercò d'inspirare una virtù modesta, ma largamente benefica — la virtù del
            sorriso, che appresa tardi, costa uno sforzo tanto più penoso quanto più  dissimulato, appresa da
            piccini, diviene abitudine, ed è poi sempre una delle maggiori benedizioni, per noi stessi e per chi ci
            sta d'intorno. Insegnò, in somma, a prendere in pace il mal tempo fidando nel sole, perchè (e non c'è
            voluto meno di Giampaolo Richter per dire tanto bene una cosa tanto semplice!) «il cielo azzurro è
            più grande di ogni nube, e dura anche di più.»

            Venezia, ottobre 1903.
                                                                                   MARIA PEZZÉ-PASCOLATO





































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