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40 Novelle Hans Christian Andersen
IL GORGO DELLA CAMPANA
«Din don, din don!» — si sente risonare dal gorgo della campana, in fondo al piccolo fiume
di Odense. Che fiume è questo, tu dici? Ma non v'è bambino, nella vecchia città di Odense, che non
lo conosca, perchè esso bagna tutti i giardini dei dintorni, e scorre sotto ai ponti di legno, dalla
chiusa sino al molino. Nel fiume crescono le ninfee gialle e le canne dalle bacche brune e vellutate;
vi crescono i giunchi scuri, alti e folti, e certi vecchi salici intisichiti, contorti, coi tronchi tutti
spaccature, si sporgono sovra il fiume, dalla Palude dei Monaci e dal Prato delle Lavandaie. Di
contro alla palude, ci sono giardini e giardini, e tutti differenti gli uni dagli altri; alcuni ben ravviati,
con bei fiori e villette che sembrano casine di bambole; altri coltivati soltanto a cavoli; e qua e là i
giardini non si vedono più, celati dai folti gruppi dei sambuchi, che stendono le rame lungo la riva e
s'incurvano sulle acque correnti, tanto profonde, in certi punti, che il remo non giunge a toccare il
fondo. Rimpetto al vecchio monastero, però, è il luogo più profondo, che si chiama il Gorgo della
Campana, e lì abita l'antico Spirito delle acque, «l'Uomo del fiume.». Lo Spirito dorme durante il
giorno, mentre il sole brilla sulle acque, ma si mostra nelle notti stellate, al lume della luna. È molto
molto vecchio: la nonna dice che ne ha sentito parlare (immagina tu quanti anni or sono!) dalla sua
nonna: dicono che meni una vita solitaria, e che non abbia alcuno con cui conversare, all'infuori del
vecchio campanone della chiesa. Un tempo la campana pendeva dal campanile: ma ora del
campanile non rimane più traccia, e nemmeno della chiesa, ch'era detta di Sant'Albano.
«Din don, din don!» — faceva la campana, quando la torre sorgeva ancora là; ed una sera,
mentre il sole tramontava, e la campana s'era data lo slancio più forte, ecco che la corda si ruppe, ed
essa venne giù volando per l'aria, col lucido bronzo che scintillava nella luce rossa del tramonto.
«Din dan do, din dan do! A letto, a letto vo!» — cantava la campana, e volò giù nel fiume,
dov'è più profondo; ed ecco perchè il luogo si chiama il Gorgo della Campana. Ma non trovò riposo
nè sonno. Giù, nella dimora dell'Uomo del fiume, essa suona e chiama, così che i rintocchi tal volta
arrivano a traverso alle acque, sino alla superficie; e molti vogliono che quei rintocchi presagiscano
la morte di alcuno; ma non è vero. Non significano altro, se non che la campana sta parlando con
l'Uomo del fiume, il quale ora non è più solo.
E che cosa va raccontando la campana? È tanto vecchia, tanto vecchia... Come ti dicevo,
c'era già prima che la nonna della nonna nascesse; e pure, essa non è che una bambina a paragone
dell'Uomo del fiume, il quale è un vecchio personaggio posato, un tipo originale, con le sue ghette
di pelle d'anguilla e la giacca tutta scaglie, che ha i bottoni formati da ninfee, con la corona di
giunchi sul capo e le alghe tra la barba; — e questo, a dir vero, non gli dà un aspetto troppo
elegante.
A ripetere tutto quanto la campana racconta, ci vorrebbero giorni ed anni; perchè parla, parla
senza posa; spesso e volentieri ripete la stessa storia, tal volta breve, tal volta lunga, secondo la
fantasia; racconta dei vecchi tempi, dei tempi difficili e tenebrosi, e dice così:
«In cima alla torre di Sant'Albano, dov'io stava, veniva un monaco. Era giovane e bello, ma
sempre chiuso ne' suoi pensieri. Dalla stretta finestra, presso alla gabbia di noi, campane, guardava
giù al fiume, — il letto del quale era largo allora, — e al lago che era dove in oggi è la palude, e, al
di là della prateria, al Poggio delle Suore, dove si vedeva il monastero, con le finestre illuminate
delle celle. Egli aveva ben conosciuta, un tempo, una delle giovinette ch'era suora al monastero, e al
ricordo il cuore gli martellava forte forte. — Din don, din don!»
Sì, così racconta la campana.
«Nella torre salì una volta il servo scemo del Vescovo; e quand'io, campana fusa nel bronzo
duro e pesante, prendevo lo slancio, avrei potuto sfracellargli il capo. Ei s'era posto a sedere proprio
accosto a me, e si baloccava con due pezzetti di legno, come suonasse il violino, e cantava: —
Quello che ignorano tutti i viventi, io qui lo grido forte: posso cantarlo adesso ai quattro venti, il
secreto di morte! Niun lo sa, ch'essa è là, niun lo sa!... Non sanno com'è freddo laggiù e umido:
laggiù raggio di sole non arriva; non san che i topi se la mangian viva... Non senton — Din don
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