Page 133 - 40 Novelle
P. 133
40 Novelle Hans Christian Andersen
nuovo, mia sorella usa festeggiare il loro natalizio o celebrare qualche matrimonio. Mi ci ha già
invitato cento volte!»
«Sì, ma questo è il centesimoprimo matrimonio, e quando ne son passati cento e uno, non se
ne fanno più; per ciò è così splendido. Ma guarda!»
Hjalmar si volse a guardare la tavola. C'era la casina di cartapesta, con tutte le finestre
illuminate, e dinanzi ad essa tutti i soldatini di stagno presentavano le armi. Gli sposi sedevano a
terra, molto pensierosi, — e ne avevano di che! — e si appoggiavano contro una gamba della
tavola. Serralocchi, che aveva indossato il vestito di seta nera della nonna, li sposò. Finita la
cerimonia, tutti i mobili intonarono insieme questa bellissima canzone, che la matita aveva scritta
apposta per la circostanza, adattandola alla fanfara dei soldatini di stagno:
Vola vola, canzone giuliva,
Agli sposi sull'ali del vento!
Se son muti, è pur muto il contento,
Se son ciechi, è pur cieco l'Amor.
Agli sposi felici un evviva!
Se stan lì duri in un canto,
E la loro una pelle di guanto
Che non freme nè sente dolor.
Poi gli sposi ricevettero una quantità di doni, ma avevano pregato gli amici di risparmiare
l'invio di commestibili, perchè erano resoluti a vivere di solo amore.
«Dobbiamo prendere una villa per l'estate o partire per un bel viaggio?» — domandò lo
sposo.
Consultarono in proposito la rondine, ch'era viaggiatrice di lungo corso, e la chioccia
anziana del cortile, che aveva allevato cinque covate di pulcini. La rondine parlò dei deliziosi climi
caldi, dove l'uva pende dalle viti in bei grappoli pesanti e l'aria è tiepida e i monti prendono certe
tinte azzurre e purpuree, come nei paesi del Settentrione non se n'ha nemmeno un'idea.
«Ma cavoli neri come quassù, là non se ne trovano!» — osservò la chioccia: «Sono stata una
volta in campagna con i miei piccini, per passarvi l'estate. C'era una cava di sabbia, in cui andavamo
a passeggiare e dove potevamo razzolare a nostro bell'agio; e avevamo libero ingresso in una
cavolaia. Ah, che gradazioni di verde e di violetto avevano quei cavoli! Non so immaginare nulla di
più bello.»
«Sì sì, ma ogni cavolo somiglia all'altro!» — disse la rondine: «E qui abbiamo poi certe
stagionacce...»
«Oh, ma ci siamo abituati da un pezzo!» — disse la chioccia.
«E poi fa così freddo, qui! Si gela...»
«Clima eccellente per i cavoli, vi dico!» — ribattè la chioccia: «Del resto, anche da noi alle
volte fa caldo. Non abbiamo avuto, quattr'anni or sono, cinque settimane di estate, che a mala pena
si respirava? E poi, da noi non abbiamo tutti gli animali velenosi che infestano codesti vostri paesi
caldi, e non abbiamo ladroni. Chi dice che il nostro non è il più bel paese del mondo, è un furfante,
che nemmeno merita di esserci nato.» — E qui la chioccia s'intenerì; poi soggiunse, singhiozzando:
«Sì, sì, anch'io ho viaggiato, che cosa credete? Ho fatto dodici miglia e più dentro a una stia: bel
sugo che c'è a viaggiare!»
«Sì, la chioccia è una massaia di buon senso!» — disse la bambola Berta: «Non m'importa
nulla di viaggiare in montagna, perchè bisogna sempre salire, per poi scendere di nuovo. No, no;
sarà meglio trovarci una buona cava di sabbia, e andar a passeggiare nel nostro bravo orto di
cavoli.»
E così fu combinato.
SABATO
«È sera di novelle, questa?» — domandò Hjalmar, appena Serralocchi l'ebbe messo a
131