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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen




                                          IL FOLLETTO SERRALOCCHI


                   Nessuno al mondo sa tante novelle quante ne sa Serralocchi. Quello sì, ne sa di belle! E
            come le racconta!
                   Verso sera, quando i bambini sono ancora seduti a tavola, composti, o pure quieti quieti sui
            loro panchettini, capita Serralocchi. Sale la scala senza far rumore, perchè ha le scarpe di feltro;
            apre la porta pian pianino... e sssst! Spruzza negli occhi dei bambini un po' di latte dolce: — oh, uno
            spruzzettino appena, ma quanto basta perchè non possano più tener gli occhi aperti. Per ciò non lo
            vedono mai. Poi guizza dietro ad essi, soffia loro dolcemente sul collo, e allora incominciano a
            sentire il capino pesante. Ma non fa già loro alcun male, perchè Serralocchi vuol molto bene ai
            bambini. Soltanto, vuole che stiano quieti, come bisogna per ascoltare le novelle; e quieti non
            istanno sin che non sono a letto.
                   Quando i bambini dormono, Serralocchi siede sul loro lettino. È un follettino elegante
            Serralocchi: ha una giubba di seta, ma è impossibile dire di che colore sia, perchè cangia dal rosso
            al verde al turchino, a seconda dei movimenti. Sotto ogni braccio porta un ombrello: l'uno, tutto
            dipinto a figurine, lo apre sopra ai bambini buoni, e allora sognano tutta la notte le più stupende
            novelle; sull'altro, non c'è dipinto niente del tutto; e Serralocchi lo apre sopra ai bambini che hanno
            fatto le bizze, e questi dormono come sassi, stupidamente, e quando si destano la mattina non hanno
            sognato nulla di nulla.
                   Ora sentiremo come il folletto. Serralocchi venisse ogni sera, per tutta la settimana, a trovare
            un bambino, che aveva nome Hjalmar, e che cosa gli raccontasse. Sono sette novelline, perchè sette
            sono i giorni della settimana.

                                                         LUNEDÌ

                   «Senti,» — disse Serralocchi la sera, quand'ebbe messo Hjalmar a letto: «ora darò mano agli
            addobbi.»
                   Tutti i fiori che erano nei vasi divennero grandi alberi, alti alti, e intrecciarono i rami sotto al
            soffitto della stanza e lungo le pareti, così che  la stanza parve trasformata in un bellissimo
            boschetto. Tutti, anche i più piccoli ramoscelli, erano coperti di fiori, ed ogni fiore era più bello di
            una rosa, ed aveva un profumo così dolce, così dolce, che faceva venir l'acquolina in bocca, tale e
            quale come la marmellata. Gli aranci e i mandarini luccicavano come l'oro, e c'erano torte tanto
            piene di frutta, ch'erano lì lì per iscoppiare. Ah, che bellezza! Ma proprio in quel momento, un
            gemito straziante uscì dal cassetto del tavolino, dov'era il quaderno di scuola di Hjalmar.
                   «Che mai può essere?» — disse Serralocchi; andò al tavolino, ed aperse il cassetto. Era la
            lavagna presa da convulsioni, perchè nel problema s'era ficcata un'operazione sbagliata, e i numeri
            cercavano di scappar via. Povera lavagna! pareva che volesse farsi in pezzi; e la pietra romana,
            attaccata al cordoncino, spiccava  certi salti e dava certi strattoni, da sembrare un piccolo can
            barbone che volesse correre in aiuto del problema. Ma aiutarlo  non poteva. Un gran piangere e
            lamentarsi faceva anche il quaderno di calligrafia di Hjalmar: era proprio una pena sentirlo! In ogni
            pagina, le maiuscole stavano l'una sotto l'altra, in capo linea, ed ognuna teneva per mano la sua
            minuscola: quelli erano i modelli. Dopo venivano alcune altre lettere, che pretendevano di
            somigliare tal quali alle prime; e queste, le aveva scritte Hjalmar; ma pendevano tutte da un lato,
            come se inciampassero nella linea segnata a matita, sulla quale dovevano star ritte, e parevano lì lì
            per cadere.
                   «Vedete?» — diceva il modello: «Così dovreste stare, inclinate da quella parte. Su via!
            datevi lo slancio per bene!»
                   «Magari potessimo!» — rispondevano le maiuscole di Hjalmar: «Ma non abbiamo forza,
            siamo troppo stente, troppo deboli...»
                   «E allora bisogna prendere l'olio di merluzzo!» — disse Serralocchi.

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