Page 130 - 40 Novelle
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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

                   «Oh, no, l'olio! no, l'olio!» — gridarono; e subito si tennero ritte, dure dure, in posizione
            militare, ch'era una bellezza vederle.
                   «Oggi non ho tempo di raccontare novelle,» — disse Serralocchi: «bisogna che comandi
            loro gli esercizii. Uno, due! Uno, due!» — e così fece marciare allineate  tutte le lettere, che
            sfilarono belle diritte, in posizione impeccabile, come dev'essere lo stato maggiore di un quaderno
            di calligrafia. Parevano tanti modelli!... Ma quando Serralocchi andò via, e Hjalmar, la mattina
            dopo, guardò il quaderno, eran tornate stente e rattrappite come prima.

                                                        MARTEDÌ

                   Appena Hjalmar fu a letto, Serralocchi lanciò sui mobili della stanza il suo spruzzettino
            magico, e immediatamente i mobili cominciarono a chiacchierare tra loro; parlavano tutti insieme e
            tutti parlavano di sé, eccettuata la sputacchiera, la quale taceva, irritata che fossero tutti così pieni di
            vanità, da non parlare che di se stessi, da non pensare che a se stessi, senza alcun riguardo per lei,
            che se ne stava modestamente in un canto, pronta a servire il primo che capitasse.
                   Sopra il cassettone era appeso un quadro in cornice dorata, rappresentante un paesaggio.
            C'erano vecchi alberi alti alti, e fiori che smaltavano il prato, e un largo fiume che scorreva lungo la
            foresta e passava dinanzi a molti castelli, sin che poi sarà andato a gettarsi nel mare.
                   Serralocchi spruzzò leggermente il quadro  col suo spruzzettino magico, e gli uccelli
            incominciarono a cantare, i rami degli alberi ad agitarsi, e le nuvole a rincorrersi a traverso il cielo,
            così che si vedevano passare sul paesaggio le loro ombre.
                   Allora Serralocchi alzò il piccolo Hjalmar sino all'altezza della cornice, mise i piedi del
            bambino nel quadro, proprio dove l'erba era più folta, e là lo lasciò. Il sole gli splendeva sul capo, a
            traverso ai rami degli alberi, e Hjalmar corse in riva al fiume e andò a sedere in una barchetta ch'era
            alla riva. La barchetta era dipinta di bianco e di rosso, con le vele che scintillavano come l'argento;
            e sei cigni, ognuno dei quali aveva al collo una collana d'oro ed una bella stellina azzurra in fronte,
            la trascinarono lungo la grande foresta, dove gli alberi raccontavano di ladroni e di streghe, e i fiori
            ripetevano quello che le farfalle e i piccoli elfi loro amici avevano detto.
                   Magnifici pesci con le squame d'oro e d'argento nuotavano dietro alla barchetta; tal volta
            davano un balzo e spruzzavano l'acqua dentro; e uccelli rossi e turchini, piccoli e grandi, correvano
            dietro alla barca in due lunghe file; i moscerini danzavano, e i maggiolini facevano: Zum! zum!
            zum! Tutti correvano dietro a Hjalmar, perchè tutti avevano qualche storia da raccontargli.
                   Quello era un vero viaggio di piacere! In certi punti, il bosco era fitto e tenebroso; in altri,
            sembrava un magnifico giardino, pieno di sole e di fiori. C'erano grandi palazzi di cristallo e di
            marmi preziosi, e su di ogni terrazzo stava una principessina; e tutte erano bambine che Hjalmar
            conosceva benissimo, perchè aveva giocato tante volte con loro.
                   Ciascuna gli tendeva la mano e gli porgeva il più bel cuoricino di zucchero candito che il
            pasticciere abbia mai venduto; e Hjalmar, passando, afferrava tutti quei cuoricini. La principessina
            teneva forte, e a ciascuno ne restava un pezzetto: alla principessa, il più piccino; a Hjalmar, il più
            grande. In ogni palazzo stava di guardia un principino. Bastava che sguainasse la piccola spada
            d'oro, perchè piovesse uva passa e soldatini di stagno: quelli erano principi!
                   Talora Hjalmar passava a traverso boschi e giardini; tal altra a traverso ampii mercati o città
            popolose. Arrivò anche alla città  dove stava la sua balia, quella  che lo aveva portato in collo
            quand'era piccino piccino, e ch'era stata sempre tanto buona con lui; e la balia lo salutò con la mano
            e col capo, e gli cantò la canzoncina ch'ella stessa aveva composta e mandata a Hjalmar:

                                                 Io t'ho voluto tanto bene e tanto,
                                              che a venir via mi s'è spezzato il core.
                                                 La notte ti ho cullato col mio canto,
                                              e il giorno t'ho allevato col mio amore.
                                                 L'amor t'ho dato e il sangue delle vene,
                                              pensa, bambino, se ti voglio bene!
                                                 T'ho dato il latte e tutto l'amor mio,

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