Page 134 - 40 Novelle
P. 134
40 Novelle Hans Christian Andersen
dormire.
«Questa sera non abbiamo tempo!» — rispose Serralocchi, e spiegò sopra il letto il più bello
de' suoi ombrelli: «Guarda, più tosto, questi Cinesi!»
Tutto l'ombrello sembrava un grande piatto cinese, con alberelli turchini, e ponti acuminati
su cui camminavano certi piccoli Cinesi, che scrollavano il capo, serii serii.
«Per domattina bisogna parare a festa il mondo intero,» — disse Serralocchi, «perchè
domani è vacanza; domani è domenica. Andrò sul campanile, a vedere se gli spiritelli della chiesa
hanno ripulito bene le campane; perchè domani lo squillo sia proprio argentino. E poi andrò pei
campi, a vedere se la brezza ha spolverato per bene l'erbe e le foglie; finalmente, mi toccherà il
lavoro più lungo: tirar giù le stelle, e lustrarle una per una. Me le prendo tutte nel grembiale; ma
prima bisogna contarle, ed anche i buchi, dove poi bisogna rimetterle, vanno numerati a riscontro,
perchè rientrino tutte nel loro incavo: altrimenti, non sarebbero assicúrate ben salde, e ci sarebbero
troppe stelle cadenti, perchè verrebbero tutte giù, una dopo l'altra.»
«Dia retta, signor Serralocchi! Lo sa lei,» — disse un vecchio ritratto, che pendeva dalla
parete nella cameretta di Hjalmar: «Lo sa lei che io sono il nonno del nonno di Hjalmar? La
ringrazio delle novelle che racconta al ragazzo; ma non bisogna confondergli le idee, però. Le stelle
non si possono tirar giù e lustrare, intendiamoci! Sono mondi, come questa nostra terra, ed è per
l'appunto questo il loro maggior pregio.»
«Grazie, vecchio Trisavolo!» — disse Serralocchi: «Ti ringrazio tanto! Tu sei il capo della
famiglia, il vecchio antenato, e sta bene; ma io sono più vecchio di te! Io sono un antico pagano, e i
Greci e i Romani mi chiamavano il Dio dei sogni. Ho frequentato le più nobili case, e sono
ammesso dovunque, per tua regola, ancora adesso. Guarda tu se non mi saprò regolare tanto su
quello che va detto ai grandi, quanto su quello che va detto ai piccini! Libero a te, del resto, di
prendere il mio posto e di raccontare quello che più ti piace!» — E Serralocchi prese il suo ombrello
e se ne andò pei fatti suoi.
«Oh, quanta furia!» — brontolò il vecchio ritratto: «Al giorno d'oggi, nemmeno si può fare
un'osservazione, a quanto pare!»
In quella, Hjalmar si destò.
DOMENICA
«Buona sera!» — disse Serralocchi; e Hjalmar rispose al saluto, ma corse subito a voltare
contro il muro il ritratto dell'antenato, perchè non gli saltasse il ticchio di interromperli, come aveva
fatto la sera innanzi.
«Ora, devi raccontarmi le novelle; sai, quella dei cinque piselli che vivevano in un baccello,
e quella della zampa di gallo che faceva la corte alla zampa di gallina, e quella dell'ago da stuoie,
che si dava tante arie perchè si credeva un ago da cucire.»
«Oh, ma anche delle cose belle, quando son troppe, si dice: troppa grazia!» — esclamò
Serralocchi. «Sai che io preferisco farti vedere qualche cosa, in vece. Ti presenterò mia sorella. Si
chiama anche lei Serralocchi, come me, ma da nessuno va mai più di una volta. E allora prende in
groppa del suo cavallo colui ch'ella ha visitato, e lo porta con sè, e gli racconta una novella. Non ne
sa che due. Una è così stupendamente bella, che nessuno al mondo può immaginarla; l'altra così
orribile e tremenda, che le parole non bastano a ridirla.»
E Serralocchi alzò il piccolo Hjalmar sino alla finestra, dicendo:
«Ora, ti farò vedere mia sorella. Di casato è anch'essa Serralocchi; ma di nome la chiamano
Morte. Vedi che non è così terribile come la dipingono nei libri illustrati, dove non è che uno
scheletro. No, no; quei ricami, sulla sua veste, son ricami d'argento; vedi che splendida veste nera
cosparsa di diamanti? Vedi che magnifico manto di velluto nero ondeggia dietro al suo cavallo? E
come galoppa!»
Hjalmar vide come quest'altra Madonna Serralocchi galoppasse in gran furia, prendendo in
groppa tanto i giovani quanto i vecchi. Alcuni se ne metteva dinanzi, altri dietro; ma a tutti
domandava prima: «Come stiamo col libro dei punti?» — «Bene!» — rispondevano tutti. «Sì, ma
132