Page 133 - Quel che una pianta sa
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QUEL CHE UNA PIANTA SA


            presenti in un comune, antico antenato di piante e animali; e
            Trewavas ha proposto che vi fosse presente anche una rudi­
            mentale forma di intelligenza.
               Fra i biologi vegetali nacque una vera disputa5 quando un
            gruppo di scienziati che studiavano vari aspetti delle funzioni
            delle piante definì nel 2005 un nuovo campo, battezzato “neu­
            robiologia vegetale”,  che mira a studiare le reti informative
            presenti nelle piante.  Questi scienziati hanno scorto varie si­
            militudini fra l’anatomia e la fisiologia vegetale e le reti neurali
            negli animali. Alcune di queste sono ovvie,6 come la segnala­
            zione elettrica che abbiamo incontrato nella Venere acchiap­
            pamosche e nelle piante di mimosa, altre più controverse, co­
            me il fatto che l’architettura delle radici delle piante sia simile
            a quella delle reti neurali trovate in vari animali.
               Quest’ultima ipotesi era stata avanzata originariamente nel
            diciannovesimo secolo da Charles Darwin e poi ripresa nuova­
            mente alcuni anni or sono da Stefano Mancuso dell’Università
            di Firenze e da Frantiòek Baluòka dell’Università di Bonn, due
            dei pionieri nel campo della neurobiologia vegetale. Molti altri
            biologi che studiano le piante,7 compreso un buon numero di
            eminenti scienziati, criticano l’idea alla base della neurobiolo­
            gia vegetale, sostenendo che le sue basi teoriche sono carenti
            e non aggiungono nulla alla nostra comprensione della fisio­
            logia vegetale o della biologia delle cellule vegetali. Avvertono
            la forte impressione che la neurobiologia vegetale si sia spinta
            troppo oltre nel tracciare parallelismi fra la biologia vegetale
            e quella animale.
               Molti sostenitori della neurobiologia vegetale sono i primi a
            spiegare che il termine stesso è provocatorio, e quindi si presta
            a incoraggiare ulteriori dibattiti e discussioni sui parallelismi
            fra le modalità con le quali piante e animali elaborano l’infor­
            mazione. Le metafore, come mettono in evidenza Trewavas e
            altri,  ci aiutano, però, a fare collegamenti che normalmente
            potremmo non compiere. Se usando il termine “neurobiolo­
            gia vegetale” sfidiamo le persone a rivalutare la loro compren­
            sione della biologia in generale, e della biologia vegetale nello
            specifico, allora il termine ha una sua validità. Ma dobbiamo


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