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QUEL CHE UNA PIANTA SA


                Ma riguardo alle nostre interazioni con il mondo verde, qua­
             le significato assume il concetto di pianta consapevole? Intanto,
             una “pianta consapevole” non lo è di noi come individui. Noi
             siamo semplicemente una delle molte sollecitazioni esterne che
             aumentano o diminuiscono le possibilità di sopravvivenza o di
             successo riproduttivo di una pianta. Per prendere in prestito
             alcuni termini della psicologia freudiana: la psiche della pianta
             è sprovvista di un Io e di un Super-io, anche se può contenere
             un Id, la parte inconscia della psiche che riceve input sensoria­
             li e agisce secondo l’istinto. Una pianta è consapevole del suo
             ambiente, e le persone fanno parte di questo ambiente. Ma non
             è consapevole della miriade di giardinieri e di biologi vegetali
             che sviluppano quella che loro considerano una relazione per­
             sonale con le loro piante. Queste relazioni possono avere un
             significato per chi si prende cura di loro, ma non sono diverse
             dalla relazione che intercorre fra un bambino e il suo amico im­
             maginario: il flusso di significato è unidirezionale. Ho sentito
             sia scienziati di fama mondiale sia studenti ancora non laureati
             usare con trasporto un linguaggio antropomorfico dicendo che
             le loro piante “non hanno un’aria molto contenta”, quando la
             muffa si è impadronita delle loro foglie, oppure definendole
             “soddisfatte”, dopo essere state innaffiate.
                Questi termini rappresentano la nostra valutazione sogget­
             tiva di una condizione fisiologica assolutamente non emotiva
             di una pianta. Nonostante tutti gli abbondanti input sensoriali
             percepiti dalle piante e dalle persone, soltanto gli esseri umani
             rappresentano tale input come un panorama di emozioni. Noi
             proiettiamo sulle piante il nostro carico emotivo e riteniamo
             che un fiore in piena sbocciatura sia più felice di uno affloscia­
             to. Se la “felicità” può essere definita come una “condizione fi­
             siologica ottimale”, allora forse il termine è adatto. Ma io penso
             che per tutti noi la “felicità” dipenda da ben più che essere in
             perfetta salute fisica. Infatti, conosciamo tutti persone afflitte
             da vari malanni e che si considerano felici, e individui in salute
             che sono generalmente di pessimo umore. La felicità, possiamo
             essere tutti d’accordo, è uno stato della mente.
                La consapevolezza in una pianta non implica inoltre che


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