Page 16 - Orto. Dal balcone al campo.
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diventando  un  modo  per  salvare  i  rapporti  tra  le  persone,  in  alcuni  casi  è  meglio  di  una
      vacanza.  Ovviamente  la  terra  è  rimasta  sempre  «bassa»,  e  richiede  sempre  fatica,  ma  è

      sicuramente una forma di impegno fisico che, se fatto bene, rigenera il corpo e la mente. Mi

      piace  la  visione  dei  giapponesi,  molto  più  lungimiranti  di  noi,  in  questo  senso.  Come  mi
      raccontava un caro amico andato a vivere in Giappone, da quelle parti si usa dire: «Lavorare

      la terra è il mestiere più nobile, perché è l’unico caso in cui bisogna spesso inginocchiarsi

      senza mai perdere l’onore».
         Ma  se  l’orto  fa  bene  alla  salute  dei  cittadini  e  può  essere  una  scelta  di  gusto,  può

      rappresentare anche la soluzione a problemi ancora più gravi, come la povertà. Secondo la
      FAO, dal 2020 la popolazione urbana mondiale che vive in povertà potrebbe raggiungere il 45

      per cento, ovvero 1,4 miliardi di persone. Di fronte a questa cosiddetta «population bomb», il
      miglior detonatore per la FAO consiste nel prendere in mano le zappe e coltivare in città e

      nelle campagne periurbane. L’esodo mondiale dalle campagne ha recentemente fatto registrare

      un superamento della popolazione cittadina rispetto a quella della campagna. Solo in Africa i
      contadini  urbani  sono  ben  130  milioni,  in  America  Latina  230  milioni.  Shivaji  Pandey,

      direttore della divisione Produzione vegetale e protezione delle piante della FAO, sostiene

      che  l’orticoltura  urbana  sia  la  soluzione  al  problema  della  povertà.  Perché  è  il  modo  più
      economico per accedere a cibo fresco, con migliori qualità organolettiche. Il cibo urbano a

      buon mercato, consumato dalla popolazione povera, è di cattiva qualità: ha un alto contenuto

      di  grassi  e  zuccheri  ed  è  responsabile  di  malattie  croniche  quali  il  diabete  e  patologie
      cardiovascolari. Soprattutto negli ambiti urbani più poveri sono sempre meno disponibili cibi

      freschi di qualità. Questo fenomeno caratteristico soprattutto delle grandi metropoli prende il
      nome di «food desert», ovvero i deserti del cibo, e indica le zone della città in cui si registra

      una riconosciuta difficoltà di accesso al cibo.

         Dal Nord al Sud del mondo, l’orto diventa quindi il modo per sconfiggere la povertà e la
      crisi economica, per cavarsela da sé, per stare all’aria aperta e, perché no?, per imparare

      nuovamente a prendere la giusta misura del tempo, delle stagioni e della bellezza delle cose
      semplici.

         L’orto  è  importante  per  comprendere,  sin  da  piccoli,  l’origine  del  cibo,  il  modo  per

      produrlo da sé, aumentando la sicurezza alimentare e creando un ambiente e una comunità più
      sani. Contribuisce a ridurre i consumi energetici e la produzione di spazzatura, a diminuire gli

      sprechi e a incrementare la qualità della vita.

         Una  delle  più  belle  lezioni  sull’orto  che  abbia  mai  sentito  è  di  Aurora,  ortista  urbana  e
      pioniera  dei  Community  gardens  nelle  periferie  di  Milano:  «Coltivare  l’orto  serve  per

      avvicinarsi alla terra e comprendere la complessità della vita, riprendersi i tempi naturali, le
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