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Il buco nero del patrimonio immobiliare

          Non sono due casi isolati. Lo sterminato patrimonio immobiliare del Vaticano tormenta
          i  progetti  di  Francesco  e  costituisce  un’altra  spina  nel  fianco  del  suo  pontificato.  È
          vero, nella storia recente la Chiesa non è mai stata fortunata nell’amministrazione delle

          sue  proprietà:  sia  con  Giovanni  Paolo  II,  sia  con  Benedetto  XVI,  la  gestione  di
          conventi, palazzi e chiese è stata fatta senza una strategia comune, ed è stata segnata da
          sperperi, favoritismi e qualche volta da veri e propri scandali. I problemi sono sempre

          rimasti in agenda, la soluzione rinviata di pontefice in pontefice, per decenni. Tutto è
          rimasto lì, consentendo a chi era più potente e scaltro di approfittare della disattenzione
          generale.
            Innanzitutto,  mancano  i  dati  fondamentali.  A  iniziare  da  quello  più  importante,  il
          valore immobiliare: il patrimonio è sterminato ma nessuno sa quanto vale. Manca un

          censimento complessivo dei beni di tutti gli organismi del Vaticano, degli enti e ordini
          religiosi della Chiesa nel mondo, un catasto generale che dovrebbe raccogliere in modo
          omogeneo tutte le proprietà. Le banche dati dei dicasteri dispongono di censimenti, ma

          sono parziali negli elenchi e nelle descrizioni. Non tutti i beni sono indicati. Di ogni
          unità non sempre si hanno le informazioni fondamentali. Anche per questo, storie come
          quella di monsignor Sciacca sono potenzialmente senza fine.
            Non stiamo parlando di ordini religiosi con beni in sperduti angoli dell’Africa ma di
          enti nella Santa sede, cuore nevralgico della teocrazia. Abbiamo visionato il database

          interno  dell’Apsa,  che  gestisce  un  cespite  costituito  da  5050  unità  tra  appartamenti,
          uffici, negozi e terreni nel comune di Roma. Si tratta di una banca dati riservatissima,
          alla quale abbiamo avuto accesso e che possiamo finalmente rendere pubblica. Si pensi

          solo che fino al 2014 il bilancio dell’Apsa nemmeno veniva pubblicato. Spulciando tra
          i  dati,  si  scoprono  molte  cose  interessanti.  Innanzitutto  che  all’interno  delle  mura
          leonine sembra che nessuno abbia la fotografia dei beni aggiornata e sotto controllo.
          Per quasi metà delle proprietà, i dati indicati sono incompleti. Molto spesso nemmeno è
          riportata  la  metratura:  per  oltre  il  50  per  cento  delle  unità  immobiliari,  2685  per  la

          precisione,  infatti,  non  è  segnata  la  grandezza  dell’appartamento  o  del  negozio  ed  è
          quindi impossibile valutare la congruità della pigione. In tanti altri casi manca l’esatta
          ubicazione all’interno di un palazzo o l’indicazione del canone d’affitto percepito. Tutto

          questo impedisce di ottimizzare la rendita, rende impossibile adottare strategie efficaci
          nelle compravendite, tra dismissioni e nuovi investimenti.
            Bisogna anche sottolineare che sul patrimonio immobiliare della  Chiesa nel mondo
          possono gravare le imposte, riducendo di molto i redditi da affitto. Un punto delicato
          affrontato dal presidente dell’Apsa, il cardinale bertoniano Domenico Calcagno, che il

          30 luglio 2013 scrive al vertice della commissione pontificia voluta da Bergoglio:

            Risultano proprietà immobiliari e mobiliari non inserite nel patrimonio dell’Apsa, pur essendo riconducibili a diverse
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