Page 79 - Via Crucis
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più ampia. Si ha piena consapevolezza dei danni che queste vicende possono portare

          all’immagine  della  Chiesa.  Proseguire  lungo  questa  strada  senza  controlli  è  ritenuto
          pericoloso e dannoso. Gli uomini del papa indicano con forza che l’unica «strada da
          percorrere – si legge nel documento di cui siamo entrati in possesso – è migliorare le

          politiche fiscali per ridurre il rischio, in relazione allo status del Vaticano di paradiso
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          fiscale».  Finché lo Stato Città del Vaticano sarà tax free, com’è ancora oggi, tutti lo
          considereranno un possibile paradiso fiscale. Tra l’altro «agli ingressi della Città del
          Vaticano non esiste nessuna dogana italiana – osserva il procuratore aggiunto di Roma

          Nello  Rossi, che ha coordinato numerose indagini che coinvolgono lo  Ior –, nessuna
          forma nemmeno blanda di controllo, la dogana più vicina rimane probabilmente quella

          di Fiumicino».   60
            Chi  vive  all’interno  del  piccolo  Stato  non  paga  alcuna  imposta.  Il  costo  del
          carburante, ad esempio, sottolinea Ernst & Young nei suoi report, «è di circa il 20 per
          cento inferiore rispetto al prezzo applicato nello Stato italiano (il carburante dello Stato
          Città  del  Vaticano  non  include  accise/tasse)».  Una  situazione  fiscale  che  può

          incentivare truffe ai danni dell’erario dei paesi vicini.
            Diventa  urgente  introdurre  «misure  di  controllo  appropriate  per  l’emissione  delle
          esenzioni dalle tasse» in modo che sia verificato chi ne beneficia, quali acquisti effettua

          e dove realmente i beni vengono consumati o utilizzati. Non solo. Si ipotizza anche una
          rivoluzione  epocale.  Per  la  prima  volta  nella  storia  della  Santa  sede,  sempre
          caratterizzata dall’assenza di qualsiasi imposta, si propone l’introduzione di un sistema
          di  tassazione.  In  concreto,  sulla  questione  dell’Iva  è  urgente  una  riforma  radicale,
          ovvero  diventa  inderogabile  «considerare  l’introduzione  di  una  tassa  sulle  vendite

          commerciali». Si tratterebbe di una svolta cruciale.
            In  curia  la  proposta  è  accolta  senza  entusiasmo.  Anzi,  con  particolare  ostracismo.
          Avviare sistematici controlli sull’utilizzo dei benefici fiscali, introdurre una tassa sulle

          vendite nei negozi andrebbe a incidere sugli interessi di chi trae guadagni opachi (in
          denaro, in favori, in potere). Francesco si fa così nuovi nemici dentro i sacri palazzi.
          Nemici  che  con  discrezione  si  mettono  al  lavoro  per  rallentare  i  lavori  della
          commissione  pontificia  e  vanificarne  la  missione.  Infatti,  almeno  per  il  momento,  su
          questo punto ogni suggerimento rimane fermo nel quaderno delle buone intenzioni.

            La «strada da percorrere» indicata ai cardinali non è stata quindi ancora intrapresa.
          Dopo  aver  visionato  i  documenti  ed  essere  riusciti  a  ricostruire  le  iniziative  della
          commissione, è inevitabile domandarsi se il papa avrà la forza di creare una polizia

          finanziaria  in  Vaticano.  Riuscirà  a  introdurre  un  regime  fiscale  con  l’imposta  sulle
          merci come nei paesi più avanzati? Oppure il Vaticano è destinato a rimanere uno stato
          offshore, senza sistema fiscale?
            Il problema è evidente.  Le anomalie che contraddistinguono le attività commerciali
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