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«Chiudere i negozi in Vaticano, danneggiano la missione della Chiesa»

          Ma tutte queste attività commerciali sono davvero in linea con la missione pastorale
          della  Chiesa?  La  vendita  di  profumi  ha  qualcosa  a  che  vedere  con  lo  spirito  del
          Vangelo? Sono anche queste le domande che gli esperti scelti da Francesco si pongono

          e che rivolgono agli analisti di Ernst & Young Spagna per avere un parere commerciale
          e di indirizzo strategico. La conclusione si può riassumere in un prospetto molto chiaro
          che  abbiamo  avuto  modo  di  visionare.  Profumerie,  negozi  di  elettronica,  tabacchi,

          farmacie e supermarket vengono descritti come attività «no fit (non adeguate, nda)». Si
          tratta di negozi privi di reale contributo alla missione evangelica. Al tempo stesso, per
          la loro attività, sono portatori di rischi per la reputazione e l’immagine della Chiesa.
            La  commissione  pontificia  fa  propri  questi  allarmi.  Li  indica  a  Francesco,
          denunciando  tutte  quelle  «attività  commerciali  che  non  sono  in  linea  con  l’immagine

          pubblica  della  Santa  sede  e  ne  danneggiano  la  missione:  tabacco,  profumeria,
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          abbigliamento,  prodotti  elettronici,  benzina».   Una  posizione  dura  che  non  lascia
          spazio ai dubbi. Per gli uomini del papa è dannoso che in Vaticano si vendano sigarette,
          hi-fi,  profumi,  abiti  da  uomo  e  da  signora.  I  consiglieri  di  Francesco  suggeriscono
          misure radicali:

            Bisogna esaminare le attività commerciali e culturali per ridurre il rischio finanziario e reputazionale, e rafforzare la
            loro sintonia con la missione della Chiesa. (E quindi, nda) cessare tutte quelle attività che danneggiano l’immagine
            della Santa sede.

          Vanno  quindi  chiusi  quei  negozi  considerati  inopportuni  e,  al  tempo  stesso,  bisogna

          convertire gli esercizi commerciali con l’obiettivo di «migliorare tutte quelle attività
          che rafforzano la missione della Chiesa: musei, filatelia, numismatica e attività per i
          pellegrini».  Il  papa  e  i  suoi  uomini  più  fidati  credono  fortemente  in  un  cambio  di
          indirizzo che favorisca la valorizzazione dei musei, visto che rappresentano un’enorme

          fonte di reddito. I dati evidenziati da Ernst & Young sono confortanti.

            Musei vaticani: aumento dei ricavi del 6 per cento, mentre i costi sono in crescita del 9 per cento; l’84 per cento delle
            entrate  è  generato  dalla  vendita  dei  biglietti,  e  l’altro  16  per  cento  proviene  da  ristorazione,  souvenir  e  bookshop,
            radioguide delle sale (attività in outsourcing).  La direzione dei musei è la direzione che attualmente all’interno del
            Governatorato impiega il maggior numero di persone (circa 700) e genera il maggior ritorno economico (previsto un
            ricavo totale di 105 milioni nel 2013). I ricavi dei musei nel 2006 erano di circa 62 milioni. Gli utili dal 2006 al 2012
            sono passati da 33 a 54 milioni. Nel 2012 i costi totali dei musei sono stati di circa 24 milioni (la maggior parte dovuti
            al personale).  Previsti 5,5 milioni di visitatori nel 2013: le visite hanno una forte oscillazione e possono andare da
            10.000 a 22/25.000 al giorno.

          Dalla vendita dei biglietti i ricavi più consistenti.

            I biglietti acquistati online prevedono un diritto di emissione di 4 euro. Questo diritto di emissione genererà nel 2013
            circa 10 milioni di euro. Nel 2013 è previsto che i biglietti venduti online peseranno per un totale del 70 per cento sul
            totale dei biglietti venduti. La maggior parte dei ricavi generati dai musei è dovuta alla vendita dei biglietti (circa il 90
            per cento del totale). Il resto è dovuto ai sei punti di ristorazione (da 3,7 milioni nel 2006 a 5,2 milioni nel 2012). La
            società esterna che si occupa di ristorazione riconosce al Vaticano una percentuale sul ricavato del 25,5 per cento.
            L’attuale  contratto  prevede  che  la  società  esterna  si  rifornisca  dallo  Stato  Città  del  Vaticano  per  l’acquisto  della
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