Page 92 - Peccato originale
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deposito è collegato nella titolarità al conto numero 051 3
06721A («Fond. A. Alberto») e al numero 001 1 12567
(«Opus Pauli»). Questi ultimi due conti, infatti, sono
espressamente indicati con intestazione e numero di
riferimento nel frontespizio del cartellino. Costituiscono le
pietre miliari dello Ior parallelo, un articolato sistema di
decine e decine di depositi, alcuni utilizzati anche, anni
dopo, per riciclare la più grande tangente mai scoperta
nella storia repubblicana: la maxitangente Enimont, il
capitolo più oscuro di Tangentopoli. Non è facile
districarsi in questo labirinto di operazioni e conti dai
nomi molto simili. Il deposito «Opus Pauli» ha un conto
quasi omonimo, il numero 001 3 11419F, intestato
appunto a «Opus B. Pauli». Su questo vengono accreditati,
ad esempio, nel maggio del 1978, più di 2 miliardi e 858
milioni di vecchie lire, equivalenti a oltre 10 milioni di
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euro di oggi, sempre secondo la rivalutazione Istat. Sono
il frutto della vendita di buoni ordinari del tesoro. Ma chi è
il reale intestatario del conto: la misteriosa e poco chiara
«segreteria particolare» indicata nella contabile della
banca – che fa pensare, visto l’acronimo Scv (Stato Città
del Vaticano), alla segreteria del segretario di Stato o del
pontefice – o uno dei tanti clienti eccellenti di De Bonis
che cercavano discrezione e anonimato? Mistero.
Studiando la contabilità di quegli anni emerge un
ulteriore aspetto rilevante, che permette una ricostruzione
finora mai compiuta. Più si approfondisce la storia dello
Ior dagli anni Settanta, più si evidenzia come l’istituto di
credito coltivasse diverse anime, antitetiche tra loro. Un
Giano bifronte, un’entità dai mille volti, con conti che
arrivano da mondi che nulla hanno in comune: da un lato
quelli che servono per combattere la fame nel mondo,
dall’altro quelli di uomini vicini a Sindona e alla mafia
italoamericana. Soldi profumati d’incenso mischiati a
narcodollari macchiati di sangue. Oltre ai depositi di
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