Page 90 - Peccato originale
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finì presto per arenarsi.
In quegli anni Marcinkus e De Bonis rappresentavano
ormai un’unica e consolidata guida della banca. I due si
erano conosciuti e piaciuti negli anni Sessanta, lavorando
in curia. De Bonis rappresentava la «memoria storica»
dello Ior, dove era approdato nel 1954, come fedelissimo
del cardinale Alberto di Jorio, il primo presidente nella
storia dell’Istituto per le opere di religione. La profonda
conoscenza che possedeva De Bonis riguardo ogni attività
della banca spinse Marcinkus a sceglierlo come segretario
generale quando, nel 1970, il prelato americano venne
promosso da Paolo VI a presidente dell’istituto di credito.
Da quel momento l’asse di potere si rafforzò giorno dopo
giorno: De Bonis era un fine conoscitore di ogni meandro
segreto della banca. E si muoveva con destrezza nei sacri
palazzi, mostrando più familiarità con il jet set del cinema
che con le anime bisognose di conforto dei fedeli, più
affinità con gli uomini dei palazzi romani che con i poveri
di madre Teresa. Figlio di un bancario e fratello del
direttore generale del Banco di Napoli, De Bonis era un
sacerdote di potere e mondanità, intesseva relazioni
strategiche sia con il mondo politico, da Giulio Andreotti a
Francesco Cossiga, sia con quello dello spettacolo. Per lui
non esistevano barriere ideologiche o pregiudizi. «Il
denaro è sempre e solo denaro» ripetevano nel salone
della banca a ogni minimo sussulto di dignità. Monsignore
porgeva una mano, elargiva un suggerimento e – perché
no? – offriva l’opportunità all’establishment di un
deposito nella banca del papa. Per questo erano tutti
pronti a baciare l’anello: lo ossequiavano, lo
magnificavano, lo corteggiavano. Nei palazzi del potere
romano, per tutti, l’alter ego di Marcinkus era
semplicemente «Donatino». All’occorrenza Donatino
offriva i suoi particolarissimi servigi finanziari: benvenuti
allo Ior, l’unica banca offshore nel centro di Roma. Non
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