Page 91 - Peccato originale
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serviva andare in Svizzera, Lussemburgo, o spingersi a
Montecarlo, bastava raggiungere la capitale, prendere un
taxi e farsi lasciare in piazza San Pietro. Trecento passi e
già si varcava la soglia dell’impenetrabile banca vaticana,
dove tutti desideravano aprire un conto. Il motivo era
molto semplice: grazie ai Patti lateranensi una sorta di
scudo giudiziario proteggeva le attività dei clienti
dell’istituto da ogni curiosità della magistratura e del fisco.
Come se non bastasse, i dipendenti della banca godevano
dell’immunità rispetto a qualsiasi indagine italiana. Ogni
attività svolta allo Ior non poteva insomma essere né
intercettata né vagliata da qualunque magistratura, anche
straniera, se non dopo essersi rivolta a quella vaticana, che
puntualmente respingeva ogni richiesta di assistenza
giudiziaria.
De Bonis poteva così mettere a disposizione dei propri
clienti una sofisticata ragnatela di conti correnti fittizi –
formalmente intestati a fondazioni o opere di carità – per
far circolare ogni tipo di denaro. Già nel 2009, con il libro
Vaticano S.p.A., ho iniziato a raccontare queste attività
occulte, indicando De Bonis come artefice di uno «Ior
parallelo» per il riciclaggio di denaro. Ma dalla
documentazione inedita e interna all’istituto di credito
vaticano raccolta per questo libro possiamo finalmente
compiere un ulteriore passo avanti. Oggi scopriamo che
De Bonis aveva costituito questa rete già agli inizi degli
anni Settanta, poco dopo aver ottenuto la promozione a
numero due della banca, quindi non solo successivamente
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al declino di Marcinkus, come già emerso. Non è solo
una questione di date. Significa che questo polmone nero
era operativo già all’epoca di Sindona e Calvi. La prova più
solida è il conto numero 051 1 01538A che De Bonis apre
come unico firmatario il 19 agosto 1972, intestandolo a
«Opus Caritatis». Leggendo il cartellino presso lo Ior
(riprodotto in Appendice) emerge con chiarezza che il
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