Page 250 - Peccato originale
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marzo 2013 il neoeletto papa Francesco volò in elicottero a
Castel Gandolfo per salutare il suo predecessore e
pranzare in sua compagnia. In quell’occasione i due papi
vennero ritratti dai fotografi dell’«Osservatore Romano»
intenti a discutere, seduti in salotto. Accanto a loro
dominava una grande e misteriosa scatola bianca. Si saprà
ufficialmente solo molto tempo dopo che quella cassa
conteneva il dossier Vatileaks che Ratzinger aveva
consegnato personalmente al suo successore, affinché
conoscesse tutte le piaghe che affliggono la curia. Tre mesi
dopo, nel giugno del 2013, Francesco, evidentemente dopo
aver letto il dossier, parlò per la prima volta di lobby gay.
Ma non in pubblico. Lo fece nel corso di un incontro con i
rappresentanti della Confederazione latinoamericana dei
religiosi (Clar). A riportare le sue parole fu il sito cattolico
latinoamericano Reflexión y Liberación: «In Vaticano
esiste una lobby gay. Nella curia ci sono persone sante,
davvero, ma c’è anche una corrente di corruzione. Si parla
di una lobby gay, ed è vero, esiste. Noi dobbiamo valutare
cosa si può fare».
A questo punto bisogna porsi una domanda
fondamentale. Nel testamento spirituale affidato a Peter
Seewald, Benedetto XVI dichiarò per ben due volte:
«Abbiamo sciolto quel gruppo», facendo intendere che lo
scioglimento della lobby gay era avvenuto sotto il suo
pontificato, quindi prima del 28 febbraio 2012. Ma se è
così, per quale motivo Francesco nel giugno del 2013
insiste nel dire: «Dobbiamo valutare cosa si può fare»? La
lobby si è riformata o non è mai stata sciolta? Persistendo
nella Chiesa il voto di castità ed essendo bandita
l’omosessualità, il problema inevitabilmente si ripropone.
Un’indagine a campione in alcune diocesi è stata compiuta
proprio da quel don Coppola, compagno di seminario di
don Luigi Capozzi: «È un approfondimento al quale mi
sono dedicato negli ultimi anni – premette –, ma i
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