Page 249 - Peccato originale
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fedelissimo di Bertone, Marco Simeon. È stato lo stesso
Benedetto XVI a confermare l’esistenza di questa lobby
gay attiva in Vaticano sotto il suo pontificato, ma ha
preferito farlo a distanza di quattro anni dalla lettura del
dossier Vatileaks, solo dopo essere divenuto ormai papa
emerito: «Effettivamente mi fu indicato un gruppo –
ammise – che nel frattempo abbiamo sciolto. Era appunto
segnalato nella commissione di tre cardinali che si poteva
individuare un piccolo gruppo di quattro, forse cinque
persone. L’abbiamo sciolto. Se ne formeranno altri? Non
lo so. Comunque il Vaticano non pullula certo di casi
simili». 8
E così, subito dopo lo scandalo Vatileaks, sia Benedetto
XVI, nelle ultime settimane del suo pontificato, sia
Francesco, appena eletto, procedettero con spostamenti
interni e promozioni per destrutturare la lobby gay. Uno
dei cerimonieri pontifici, monsignor Francesco Camaldo, e
un laico furono rimossi dai loro incarichi o non rinnovati,
un monsignore fu spedito all’estero, in America Latina, un
cardinale che fino al giorno prima era in predicato per
essere nominato a ruoli di primo piano fu trasferito ad
altra struttura e quindi zittito.
Bergoglio fin dagli inizi ha cercato di indebolire questa
struttura occulta. La discussione sulla lobby gay prese
piede nei giorni immediatamente successivi alla sua
elezione. Subito dopo il conclave fu pubblicato un libro-
testamento di don Andrea Gallo che confermava senza
troppi indugi l’esistenza di una lobby omosessuale dentro i
sacri palazzi: «Esiste una lobby omosessuale molto forte:
un gruppo di vescovi che nasconde la propria
omosessualità e la sublima non nella castità bensì nella
ricerca del potere; cercano di allungare la catena che li
unisce creando altri vescovi omosessuali». 9
C’è stata una significativa continuità tra i due
pontificati, grazie soprattutto a Benedetto XVI. Il 23
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