Page 203 - Peccato originale
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inchieste giudiziarie condotte in Australia, sia quelle
giornalistiche pubblicate anche in Italia dal giornalista
Emiliano Fittipaldi su «l’Espresso», che avrebbero reso
inopportuna la sua nomina alla guida del dicastero che
doveva accorpare tutte le attività economiche della Santa
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sede. Come sempre, la risposta più semplice, in linea
con il machiavellico stile curiale, è forse quella che più si
avvicina al vero: facendo nominare al vertice della
segreteria per l’Economia un cardinale oggetto d’indagini
giudiziarie, di mano larga nelle spese, quindi
indubbiamente debole, si uccideva in culla il progetto di
Bergoglio di unificare tutti i dicasteri economici facendoli
gravitare sotto la segreteria per l’Economia. Un progetto
fortemente osteggiato dal gruppo di potere bertoniano che
– come abbiamo visto – ancora oggi controlla ampi settori
economici della curia, e che di certo non intendeva e non
intende arretrare.
Da sei anni Calcagno è in sella, avendo resistito per
mesi ai tentativi di Pell di prendere in mano la gestione
degli immobili del Vaticano. Il porporato piemontese è
riuscito a ottenere dal papa un rescriptum per riavere in
mano la gestione totale del patrimonio, ancor prima che il
«ranger australiano» cadesse in disgrazia. 12 Così la
riforma di Francesco – l’istituzione di un’unica entità
economica, separata dalla segreteria di Stato – si è via via
ridotta nelle ambizioni, visto il fronte di fuoco non solo di
Calcagno ma anche degli altri bertoniani che hanno mosso
ogni leva contro l’idea che la segreteria per l’Economia
accentrasse i poteri economici nelle sue mani. 13 Di
conseguenza, anche le riforme finanziarie ed economiche
studiate e avviate all’inizio del papato hanno determinato
risultati a dir poco controversi.
Né si può trascurare un altro aspetto: quando
Francesco sbaglia nelle sue nomine, magari perché
precedentemente mal consigliato, si espone, e il suo
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