Page 178 - Peccato originale
P. 178
magari di aumentare i poteri ispettivi di chi era chiamato
a mantenere la sicurezza del piccolo Stato? Non è un caso
che Gotti Tedeschi abbia trovato microspie nei luoghi di
lavoro, come poi ha segnalato ai suoi avvocati e all’autorità
giudiziaria. I registi di Vatileaks prima hanno cercato di
anticipare qualche documento del libro sui quotidiani, poi
hanno cavalcato l’onda emotiva dello scandalo per tenere
lontana l’attenzione mediatica dallo Ior, criminalizzando
Gabriele e introducendo un clima di terrore nella Santa
sede.
Torniamo a quei giorni, alle ore drammatiche in cui si
cerca di individuare chi passa i documenti ai giornalisti.
Nel pomeriggio del 24 maggio, Gänswein incontra Paolo
Gabriele, lo guarda negli occhi e gli sussurra: «Guardi,
sospetto fortemente che sia lei, non ho le prove, ma solo
lei può sapere cosa è successo». È la fine. Quando Gabriele
finisce arrestato, quella notte del 24 maggio 2012, non
pensa ai figli, alla moglie, al pontefice, allo scandalo. No, il
primo pensiero, secondo quanto confiderà agli amici, è
rivolto alla mamma che ha perso, coincidenza vuole,
proprio in quella notte, tanti anni prima, quando aveva
solo tre anni e mezzo. Il fatto che la Gendarmeria lo arresti
proprio lo stesso giorno, mettendolo in una cella «dove
nemmeno potevo aprire le braccia», come ripeterà spesso
ad alcuni amici, lo fa sentire in qualche modo protetto.
L’ispettore Domenico Giani lo interroga, alza la voce,
Gabriele pensa ai figli, alla fragilità di quel pontificato.
Giani chiede se ha fotocopiato anche il dossier su
Emanuela Orlandi. Il capo della Gendarmeria è
preoccupato, ma il maggiordomo nega. Poi racconta
questo dettaglio a Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, e
anche a Giancarlo Capaldo, titolare dell’inchiesta sulla
scomparsa della ragazza. Gabriele affronta con
determinazione il carcere, il processo, le accuse che via via
evaporano.
181