Page 169 - Peccato originale
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Vaticano a non fare pressione su questa cosa. Quindi
complessivamente la valutazione non fu negativa e noi ci
impegnammo… La mia posizione non era facile, infatti
dovevo essere molto critico all’interno, però all’esterno
dovevo difendere il lavoro svolto. Questo lavoro in futuro
li costrinse a continuare ad avere rapporti con me.
Siccome, per la mia passata esperienza in Banca d’Italia
nell’antiriciclaggio, ero conosciuto anche da Moneyval e
dagli ispettori mandati in Vaticano, loro sapevano chi ero
e si fidavano. Quindi, se fossi stato fatto fuori prima della
valutazione di luglio, forse qualche problema si sarebbe
posto, perché già avevano fatto fuori il presidente dello
Ior. Poi, forse, si pentirono, visto il grande risalto che ebbe
questa defenestrazione su tutti i giornali. Il giorno dopo
venne fuori la storia di Vatileaks e del maggiordomo. Io
penso che venne fuori per distrarre l’attenzione.
Come fu vissuto, all’interno dell’Aif, il caso del
maggiordomo Paolo Gabriele?
Negativamente, perché era uno che collaborava con
noi, mentre gli altri non lo facevano quasi per niente. Il
professor Gotti era criticato all’interno perché aveva dato
alla procura di Roma la sua disponibilità a collaborare.
Quando ciò si seppe, pensai: «Vabbè, adesso abbiamo
chiuso». Dopo che a luglio uscì il rapporto cercai di
prendere contatti con la segreteria di Stato e ci fu una
chiusura totale. Balestrero non si fece trovare. Dovevo
portare avanti la firma del protocollo d’intesa con la Uif
italiana [Unità di informazione finanziaria, nda]. Mi
rispose soltanto quando stavo già andando avanti e gli
avevo trasmesso le informazioni necessarie: «Ah, molto
interessante la collaborazione con la Uif italiana, ne
dobbiamo parlare». Capii che era solo per prendere
tempo, non dovevo essere io a occuparmi di questa cosa. A
ottobre Nicora mi chiamò e disse che la segreteria di Stato
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