Page 102 - Peccato originale
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subito, osservando il corpo di quel non più giovane
banchiere ciondolare all’alba dall’impalcatura posta sotto
il ponte, con alcuni mattoni infilati nelle tasche della
giacca e nei pantaloni a fare da zavorra. Una messa in
scena macabra per depistare le indagini. Come
puntualmente accadde, facendo perdere tempo prezioso,
fondamentale per risolvere casi come questi. Ogni
manuale di scienza delle investigazioni spiega che, quando
avviene un omicidio, ogni ora e ogni giorno che passa
senza un colpevole compromette l’esito delle indagini: o
un omicidio si risolve nelle prime quarantotto ore oppure
la situazione si complica terribilmente. Infatti questo
errore marchiano nella prima inchiesta sulla morte di
Calvi sarà fatale per la verità, mai realmente raggiunta.
Eppure era impossibile che il banchiere si fosse infilato i
mattoni nell’abito, si fosse arrampicato sull’impalcatura
come un aitante atleta, avesse teso un nodo scorsoio e poi
con un salto carpiato da olimpionico si fosse lanciato nel
vuoto, morendo impiccato. Il tutto senza scalfire
minimamente le unghie, che rimasero pulite, come
appena uscite dalla manicure: un particolare che mi
confidò il giudice Otello Lupacchini, che fece riesumare il
corpo del banchiere nel 1998.
Bisognerà aspettare l’autunno del 2005 quando, al
termine di lunghe indagini, il pm Luca Tescaroli accuserà
di omicidio un’insolita brigata di malfattori o presunti tali,
che si sarebbero messi insieme per far fuori Calvi. Persone
disarmoniche tra loro: dal faccendiere Flavio Carboni al
boss della Magliana Ernesto Diotallevi, dal cassiere di
Cosa Nostra Pippo Calò al contrabbandiere Silvano Vittor.
È arduo ritenere che questi signori, di estrazione così
diversa, si siano riuniti a un tavolo decidendo l’omicidio.
Infatti, in ogni grado di giudizio, le corti hanno sempre
respinto questa impostazione, assolvendo la pletora di
imputati. Con una motivazione chiara: assente o troppo
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