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durezza di cuore, in modo quasi sociopatico”. Anche un vescovo in
pensione, Geoffrey Robinson, parlando ai giudici australiani a fine
agosto 2015, ha spiegato non solo che in Australia gli abusi venivano
coperti sistematicamente e che i preti sospettati erano trasferiti da
una parrocchia all’altra, ma che Pell – ideando il Melbourne
Response – aveva “distrutto” la possibilità di risposta unitaria della
Chiesa nei confronti dello scandalo delle violenze sessuali nel paese.
Per replicare alle dichiarazioni giurate di testimoni e vittime, Pell
non è volato in Australia per rendere testimonianza giurata, ma ha
mandato un comunicato stampa in cui nega di essere stato complice
o di aver coperto sacerdoti pedofili. “I suicidi di tante vittime sono
una tragedia enorme, i crimini commessi contro di loro da preti e
fratelli sono profondamente malvagi e completamente ripugnanti
per me.”
È improbabile che Pell perda la poltrona di prefetto della
segreteria per l’Economia. Ed è impossibile che possa essere
inquisito dal tribunale vaticano, a cui recentemente Francesco ha
dato nuovi poteri per perseguire i vescovi insabbiatori. Non solo
perché a Roma nessuno ha mosso, nemmeno nei media, critiche
formali a Pell, ma perché è stato Bergoglio in persona a
promuoverlo prima tra i membri del cosiddetto C9 (il gruppo di
cardinali che deve consigliare il papa nel governo della Chiesa
universale) e poi prefetto del nuovo dicastero. Sarebbe difficile per
la Chiesa fare marcia indietro dopo l’investitura: i contraccolpi,
anche mediatici, rischierebbero di essere devastanti.