Page 98 - A spasso con Bob
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                                               Luci e ombre di Angel
             LA scelta di Angel era stata approvata pienamente da  Bob e ogni giorno me lo
          confermava con il linguaggio del corpo.

             Quando scendevamo dall’autobus a Islington Green non mi chiedeva più di salire
          sulla spalla come faceva un tempo, ma trotterellava al guinzaglio davanti a me lungo
          Camden Passage, passando davanti ai negozietti d’antiquariato, ai caffè, ai pub, ai
          ristoranti,  poi  imboccava  sicuro  Islington  High  Street  per  raggiungere  l’ampia  e

          comoda entrata della stazione della metropolitana.
             Qualche volta dovevamo prima recarci allo stand del coordinatore che si trovava
          a  nord  di  Green  e  allora  facevamo  un  giro  un  po’  diverso.  Cercavo  sempre  di
          passare  attraverso  il  parco  recintato,  mi  fermavo  un  po’  a  guardarlo  mentre  si

          intrufolava  nei  cespugli,  cercando  nel  fogliame  la  carcassa  di  qualche  roditore,
          uccello  o  qualsiasi  altra  povera  creatura  sulla  quale  testare  le  sue  capacità  di
          «rovistare» tra i rifiuti. Fino a quel momento aveva sempre fatto un buco nell’acqua
          ma Bob non demordeva e continuava con entusiasmo a ficcare il muso in ogni buco o
          anfratto del giardino.

             Una volta raggiunta la sua postazione preferita, davanti alla fioriera e vicino a una
          delle panchine accanto all’entrata della metropolitana di Angel, restava a osservarmi
          mentre facevo sempre le stesse due mosse: appoggiavo lo zaino sul marciapiede e vi

          ponevo  davanti  una  copia  del  giornale.  Compiuto  il  rituale,  lui  si  sedeva  e  si
          concedeva un po’ di toeletta prima di affrontare la sua giornata di lavoro.
             Anch’io  stavo  bene  in  quel  luogo  e  lo  consideravo  il  nostro  punto  di  partenza,
          come se per noi fosse iniziata una nuova stagione destinata a durare per sempre.
             Angel era diversa da Covent Garden e West End. Il centro era sempre pieno di

          turisti e di sera le strade si riempivano di frequentatori di teatri e amanti della vita
          notturna. In questa zona della città, invece, la vita era un po’ meno frenetica anche se
          ogni giorno un gran massa di gente si accalcava in metropolitana.

             E  comunque  anche  le  persone  non  erano  uguali.  Ovviamente  molti  turisti
          frequentavano il quartiere per i buoni ristoranti o per visitare Sadler Wells, Islington
          Business Design Centre e le altre gallerie d’arte, ma c’era anche un’atmosfera più
          professionale o, per dirla in un altro modo, più «esclusiva». Ogni sera vedevo orde
          di uomini e donne d’affari uscire ed entrare in metropolitana e questo era un male e

          un bene allo stesso tempo. Da un lato, in tutta quella confusione la gente difficilmente
          si  accorgeva  di  un  bel  gattino  dal  pelo  rosso  fuori  della  stazione  ma  dall’altro,
          quando succedeva, scoppiava quasi sempre un amore a prima vista. Gli abitanti e

          frequentatori di Angel erano comunque più generosi di quelli di Covent Garden; mi
          era bastato meno di una settimana per capirlo.
             Il  secondo  o  forse  il  terzo  giorno,  una  bella  signora  si  fermò  per  fare  quattro
          chiacchiere, e per prima cosa mi chiese se eravamo lì casualmente o se intendevamo
          tornarci. A essere sincero quella domanda mi aveva un po’ insospettito, temevo che
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