Page 96 - A spasso con Bob
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prova», e continuò: «Per qualche settimana potrai lavorare nel pomeriggio e soltanto

          la domenica tutto il giorno. Terminato il periodo, potrai riprendere l’orario normale.
          Cerca di comportarti bene.  Se qualcuno ti ferma e vuole acquistare una copia del
          giornale, devi dire semplicemente che le hai finite o che sono già tutte prenotate. Non

          lasciarti coinvolgere».
             Erano  consigli  di  buon  senso.  Avrei  cercato  in  ogni  modo  di  non  «lasciarmi
          coinvolgere», ma questo purtroppo non dipendeva solo da me. Ed è proprio quello
          che successe.
             Una domenica pomeriggio Bob e io avevamo deciso di lavorare un paio di ore.

          Tenuto conto della restrizione di orari a cui eravamo soggetti non potevamo certo
          scegliere.
             Ero  seduto  vicino  allo  stand  del  coordinatore  in  James  Street,  quando

          improvvisamente avvertii la presenza ingombrante e minacciosa di un tizio di nome
          Stan.
             Era  una  faccia  nota  nel  giro  dei  venditori.  Sapevamo  che  aveva  un  carattere
          volubile  e  che  si  comportava  in  maniera  imprevedibile.  Se  era  di  buon  umore,
          appariva  come  la  migliore  persona  al  mondo,  sempre  pronto  ad  aiutare  gli  altri.

          Anche a me aveva dato una mano, regalandomi qualche copia del giornale un paio di
          volte in cui mi ero trovato in difficoltà.
             Se al contrario aveva la luna storta o, peggio ancora era ubriaco, diventava il più

          deplorevole, insolente e aggressivo bastardo sulla Terra.
             Mi fu subito evidente che Stan quel giorno aveva voglia di litigare, ma ormai era
          troppo tardi per svignarmela.
             Con tutta la sua stazza (era un omone alto circa due metri) si chinò leggermente su
          di me e mi urlò: «Che cavolo ci fai qui, sei stato cacciato da questa zona!»

             Sentivo  la  puzza  del  suo  alito,  sembrava  una  distilleria.  Dovevo  sforzarmi  di
          restare calmo e lasciar cadere la provocazione.
             «Posso lavorare di domenica e negli altri giorni di pomeriggio», gli risposi calmo.

             Per  fortuna  un  coordinatore  che  si  trovava  nelle  vicinanze,  un  certo  Peter,  si
          accorse  di  quanto  stava  succedendo  e  venne  in  mio  soccorso,  innervosendo
          ulteriormente Stan.
             L’omaccione  indietreggiò  ma  poi  avanzò  nuovamente  inondandomi  con  l’alito
          pestilenziale impastato di whisky. Guardava Bob con fare bellicoso.

             «Se  dipendesse  da  me,  strangolerei  questo  gatto  con  le  mie  stesse  mani»,  ci
          ringhiò contro come un cane rabbioso.
             Non ci vidi più dalla rabbia e dalla paura.

             Se solo avesse fatto un altro passo avanti, gli sarei saltato alla gola e avrei difeso
          il mio gatto come una madre fa con la propria creatura. Non c’era poi una grande
          differenza, Bob era come un figlio per me. Sapevo però altrettanto bene che reagire
          in quel modo avrebbe significato chiudere per sempre con Big Issue.
             Così  presi  l’unica  decisione  possibile:  tenermi  alla  larga  da  Stan  e  anche  da
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