Page 100 - A spasso con Bob
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«dialogatori», come vengono chiamati tecnicamente.
Questa era la principale differenza che avevo notato rispetto a dieci anni prima,
quando avevo iniziato a lavorare in strada. Adesso c’era molta più competizione, se
così si può dire. I dialogatori, per esempio, erano spesso studenti superentusiasti che
lavoravano per enti di beneficenza, addestrati ad «accalappiare» pendolari e turisti
ben vestiti con il loro discorsetto. Obiettivo finale era convincere persone di buon
cuore a fare una donazione con addebito diretto sul conto corrente bancario. Alcuni
lavoravano per organizzazioni umanitarie altri, invece, per associazioni impegnate
nella lotta contro gravi malattie come il cancro, la fibrosi cistica o l’Alzheimer.
Personalmente, non ero contrario al fatto che anche loro fossero lì con me, quello che
mi infastidiva era il modo in cui talvolta assillavano la gente. Anch’io avevo il mio
discorsetto pronto per vendere Big Issue ma non ero così insistente o invadente come
alcuni di questi giovani. A volte si mettevano anche a inseguire la gente per strada
cercando in tutti i modi di attaccare bottone.
Il risultato era che i pendolari sapevano di trovare all’uscita della stazione della
metropolitana una schiera di dialogatori nelle loro sgargianti magliette colorate, e
allora se la davano a gambe levate. Molti di loro sarebbero stati miei potenziali
clienti e questo mi dava molto fastidio.
Comunque avevo deciso che se qualcuno di quei formidabili chiacchieroni avesse
superato il limite della decenza, io non sarei rimasto in silenzio.
Una volta mi scontrai verbalmente con un giovane studente con un casco di capelli
ricci come quelli del chitarrista Marc Bolan dei T-Rex. Era veramente irritante,
continuava a fermare le persone, le inseguiva anche se gli dicevano che non erano
interessate e volevano soltanto essere lasciate in pace. Insomma, era un gran
rompiscatole e decisi di intervenire.
«Ehi, amico, stai rendendo difficile la vita anche a noi che lavoriamo qui», gli
dissi cercando di mantenere la calma. «Potresti almeno spostarti qualche metro più
avanti?»
Il ragazzo reagì in maniera aggressiva. «Ho il diritto di stare qui», mi urlò. «E tu
non puoi dirmi che cosa devo o non devo fare, chiaro?»
Se voleva farmi incavolare, c’era proprio riuscito.
Gli feci capire, senza troppi giri di parole, che se lui era lì per mantenersi durante
il suo «anno sabbatico», io invece dovevo guadagnarmi ogni giorno i soldi per
pagare le bollette e continuare ad avere un tetto sulla testa. A quel punto lo studente
incassò il colpo e si allontanò dall’ingresso della metropolitana.
Ero infastidito anche da quelli che distribuivano le pubblicazioni free press:
quotidiani, settimanali, illustrati vari. Alcuni di questi giornali erano decisamente
interessanti e mi facevano una bella concorrenza. Perché la gente avrebbe dovuto
comprare da me Big Issue, quando poteva avere un giornale gratis?
Così tutte le volte che uno di loro si avvicinava troppo alla mia postazione,
cercavo di mettere le cose in chiaro. «Tutti dobbiamo lavorare, quindi manteniamo