Page 70 - A spasso con Bob
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Davanti a loro, sul tavolo, c’erano delle cartellette che non sembravano lasciar
          presagire niente di buono. Mi domandai che cosa fossero riusciti a scoprire del mio
          passato e anche quali scheletri si nascondessero nei loro armadi.
             Il primo a parlare fu l’uomo; mi disse che non sarei stato incriminato per i reati di

          ingiuria e minaccia e il perché mi fu subito evidente.
             «Il  mio  DNA  non  coincide  con  quello  della  saliva  sul  vetro,  vero?»  chiesi  e
          improvvisamente sentii il sangue tornare ad affluirmi nelle vene.
             Il poliziotto si limitò a guardarmi con un sorrisino a denti stretti. Era abbastanza

          ovvio che qualcuno della metropolitana aveva cercato di incastrarmi, ma alla bella
          notizia ne seguì subito una cattiva.
             L’agente donna mi comunicò che ero stato rinviato a giudizio con l’accusa di aver
          suonato  illegalmente  in  un  luogo  pubblico  o,  per  essere  più  precisi,  di  aver

          commesso il reato di accattonaggio. Mi sventolò sotto il naso un foglio e concluse
          dicendo che avrei dovuto presentarmi in tribunale nell’arco di una settimana.
             Lasciai il comando sollevato. Il reato di accattonaggio non era così grave e, se
          avevo  fortuna,  potevo  cavarmela  con  un’ammenda  di  lieve  entità  e  con  una  bella
          lavata di capo. Niente di più.

             Gli  altri  reati  erano  una  questione  completamente  diversa  e  il  giudice  avrebbe
          potuto tranquillamente sbattermi in galera. Per fortuna era tutto finito, o quasi.
             Da un lato avrei voluto combattere l’ingiustizia che avevo subito. Dopo aver letto

          la querela, mi resi conto che dalla descrizione dell’individuo che aveva sputato sul
          vetro della biglietteria si capiva che non potevo essere stato io e forse c’erano anche
          gli  estremi  per  denunciare  la  polizia  per  arresto  arbitrario,  ma  quel  pomeriggio,
          mentre tornavo a casa, mi sentivo sollevato, come se la mia vita finalmente avesse
          preso una piega diversa. O qualcosa di simile.

             Dovevo comunque presentarmi in tribunale per il processo e perciò mi recai al
          centro  di  assistenza  legale  al  cittadino  per  una  consulenza.  Probabilmente  avrei
          dovuto chiedere aiuto prima, ma ero troppo sconvolto e non mi era venuto in mente.

             Mi  fu  spiegato  che  avevo  diritto  al  patrocinio  gratuito  essendo  iscritto  a  un
          programma di recupero dalle tossicodipendenze.
             La  verità,  però,  era  che  io  non  volevo  un  avvocato  che  mi  difendesse,  volevo
          soltanto qualche consiglio per rispondere correttamente alle domande della corte.
             Non ci fu molto da discutere: dovevo presentarmi in aula e ammettere di essere un

          musicista  ambulante  che  suonava  in  strada  senza  licenza.  Poi  avrei  dovuto
          dichiararmi colpevole e augurarmi con tutto il cuore che i giudici non ce l’avessero a
          morte con gli artisti di strada.

             Quando  arrivò  il  giorno  fatidico,  indossai  una  maglietta  pulita  (una  T-shirt  con
          sopra scritto MOLTO INFELICE) e mi rasai con cura prima di avviarmi in tribunale. Nel
          corridoio  c’era  gente  di  tutti  i  tipi:  skinhead  dal  forte  accento  dell’Est  e  anche
          signori di mezz’età in abito grigio che dovevano aver commesso qualche infrazione
          al codice della strada.
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