Page 67 - A spasso con Bob
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faceva di crack. Dovevo correre il rischio, non avevo altra scelta.

             Quando ti beccano, è un gran casino, ma devi stringere i denti. Naturalmente in
          quei  momenti  ti  piangi  addosso,  ma  accidenti  tu  non  vuoi  fare  la  guerra  ai  poteri
          forti! Cerchi di uscirne, racconti delle balle, ma non ti credono. Non ti credono mai.

          Quando ci sei dentro è come un girone dell’inferno. Ecco perché suonare e cantare in
          strada mi piaceva, perché era legale e perché mi aiutava a rigare dritto.
             Adesso, però, ero di nuovo in cella e questa volta l’effetto su di me fu devastante,
          come se mi avessero tirato un pugno nello stomaco. Dopo circa mezz’ora la porta si
          spalancò di colpo e un agente in maniche di camicia mi accompagnò fuori.

             «Prego, mi segua», disse.
             «Dove mi sta portando?» gli chiesi.
             «Lo vedrà da solo.»

             Mi condusse in un ufficio piuttosto spoglio con solo una scrivania e qualche sedia
          di plastica. Dall’altra parte del tavolo erano seduti due poliziotti che, a dire il vero,
          mi sembravano piuttosto annoiati. Poi uno dei due iniziò a interrogarmi: «Dove si
          trovava ieri sera alle sei e trenta circa?»
             «Uhm, ero a Covent Garden, stavo suonando», risposi.

             «Dove, esattamente?»
             «All’angolo di James Street, davanti all’ingresso della metropolitana», continuai,
          ed era la verità.

             «E non è mai sceso nella stazione della metropolitana?» mi domandò il poliziotto.
             «No, non ci vado mai. Prendo solo l’autobus.»
             «Bene.  Allora  adesso  può  spiegarci  come  mai  ci  sono  ben  due  testimoni  che
          l’hanno  vista  ieri  sera  all’interno  della  stazione  mentre  minacciava  un’addetta  al
          controllo dei biglietti?»

             «Ve l’ho già detto. C’è stato un errore di persona, non sono io», balbettai.
             «Quando  il  personale  della  metropolitana  l’ha  fermata,  lei  ha  cominciato  a
          proferire una serie di ingiurie e poi ha minacciato la donna.»

             Ero seduto e continuavo a scuotere la testa. Sembrava una scena surreale.
             «Poi  è  stato  accompagnato  alla  biglietteria  e  le  è  stato  detto  di  comprare  il
          biglietto», proseguì nel racconto l’agente. «Ma siccome si rifiutava di pagare, per
          reazione ha sputato contro il vetro del gabbiotto.»
             Fu allora che mi saltarono i nervi.

             «Mi  ascolti  bene.  Queste  sono  tutte  stronzate.  Ieri  sera  non  ero  nella
          metropolitana, non ci vado mai. Io e il mio gatto usiamo solo i mezzi di superficie.»
             I poliziotti mi guardavano come se stessi dicendo la più grande delle bugie. Poi mi

          chiesero  se  volevo  fare  una  deposizione  scritta  e  feci  mettere  a  verbale  che  ero
          rimasto a suonare tutto il pomeriggio e la sera in James Street e che quel giorno non
          avevo mai preso la metropolitana. Sapevo che nella stazione c’era una telecamera e
          che mi sarebbe tornata utile ancora una volta, ma nel cervello si affastellavano ogni
          genere di pensiero angosciante.
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