Page 65 - A spasso con Bob
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niente di male o di illegale in quello che facevo, giusto?

             Tutto però cambiò di colpo quel pomeriggio.
             Mi ero recato a Covent Garden con Bob come al solito. La novità era che in quei
          giorni avevamo un ospite, un tizio di nome  Dylan, che avevo conosciuto ai tempi

          della band. Il suo disonesto padrone di casa gli aveva aumentato l’affitto in maniera
          esorbitante e, dato che lui si era rifiutato di pagare, lo aveva sbattuto in mezzo alla
          strada.  Aveva  bisogno  di  un  posto  per  dormire,  anche  il  pavimento  gli  sarebbe
          andato bene, così gli avevo offerto il mio divano. Non potevo rifiutargli l’ospitalità,
          anch’io un tempo mi ero ritrovato nella sua stessa condizione.

             Inizialmente Bob non aveva accettato di buon grado la presenza di Dylan, forse
          perché era un po’ geloso, ma poi aveva capito che il mio amico era un altro amante
          degli animali e che lui ci avrebbe guadagnato in attenzioni, quindi tutto si era risolto.

             Quel fatidico giorno Dylan aveva deciso di unirsi a noi: era una bella giornata di
          sole e mentre mi stavo preparando all’angolo di James Street, lui giocava con Bob.
          A  ripensarci  ora  mi  rendo  conto  di  quanto  fui  fortunato  che  il  mio  amico  avesse
          deciso di accompagnarci proprio quel pomeriggio.
             Mi  ero  appena  messo  la  cinghia  della  chitarra  sulla  spalla,  quando  un  furgone

          della polizia ferroviaria britannica arrivò a tutta velocità e accostò al marciapiede.
          Uscirono tre agenti che puntarono dritti su di me.
             «Che succede?» mi chiese Dylan.

             «Non saprei. Sarà la solita storia», gli risposi, pronto a riprendere il balletto di
          sempre e a sciorinare le solite false promesse.
             Ma mi sbagliavo.
             «Lei viene con noi», mi intimò uno dei poliziotti additandomi.
             «E perché? Non ho fatto niente», ribattei.

             «Lei è in arresto, deve rispondere dei reati di ingiuria e minaccia.»
             «Io? Chi avrei minacciato? C’è un errore…» Prima che riuscissi a terminare la
          frase, mi avevano già afferrato per le spalle e, mentre un poliziotto mi leggeva i miei

          diritti, l’altro mi faceva scattare le manette ai polsi.
             «Saprà ogni cosa alla stazione di polizia. Adesso raccolga la sua roba e salga con
          noi sul camioncino prima che la sua situazione peggiori ulteriormente.»
             «Ma  il  mio  gatto?»  chiesi  in  preda  all’ansia,  mentre  con  le  mani  cercavo  di
          indicare Bob.

             «C’è un canile al commissariato, starà lì», disse un altro agente e poi aggiunse: «A
          meno che ci sia qualcuno disposto a occuparsi di lui».
             La testa mi girava come una trottola, non avevo la più pallida idea di che cosa

          stesse succedendo. Poi, con la coda dell’occhio, vidi Dylan. Era molto spaventato e
          non volevo coinvolgerlo, ma in quel momento rappresentava la mia unica ancora di
          salvezza.
             «Dylan, occupati tu di Bob. Portalo a casa, le chiavi sono nello zaino.»
             Lui annuì, prese il gatto in braccio e cercò di rassicurarlo. Bob era terrorizzato, lo
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