Page 69 - A spasso con Bob
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Nel momento in cui entrai nel mio caseggiato, tirai un grosso sospiro di sollievo.
          In  casa  Dylan  stava  guardando  la  televisione  mentre  Bob,  come  al  solito,
          sonnecchiava sotto il termosifone, ma appena varcai la soglia saltò fuori e trotterellò
          verso di me, con la testa leggermente piegata di lato, e gli occhietti verde oro puntati

          nei miei.
             «Ciao amico, tutto bene?» lo salutai con un filo di voce mentre mi piegavo sulle
          ginocchia per accarezzarlo. Lui mi saltò in grembo e cominciò a leccarmi il viso.
             Dylan, nel frattempo, era andato in cucina ed era tornato con una birra.

             «Grazie, proprio quello che ci vuole», esclamai togliendo la linguetta dalla lattina
          e ingollando un bel sorso di birra ghiacciata.
             Poi rimasi a parlare con il mio amico per un paio di ore, cercando di trovare un
          senso  a  tutto  quello  che  era  successo.  Sapevo  bene  che  i  controllori  di  Covent

          Garden  mi  avevano  preso  di  mira,  ma  non  potevo  credere  che  fossero  arrivati  al
          punto di accusarmi di un reato che non avevo commesso.
             «Non  possono  farti  nulla,  c’è  la  prova  del  DNA»,  mi  rassicurò  Dylan.  Magari
          fossi stato anch’io sicuro come lui!
             Quella  notte  dormii  male,  continuavo  a  svegliarmi.  Era  inutile  ripetermi  che

          sarebbe  finito  tutto  bene,  non  riuscivo  a  non  pensare  che  la  mia  vita  stesse  per
          volgere al peggio, proprio ora…
             Ero arrabbiato, mi sentivo impotente, ma soprattutto avevo paura.

             Il  giorno  successivo  decisi  di  stare  alla  larga  da  Covent  Garden.  Bob  e  io  ci
          piazzammo dalle parti di Neal Street e di Tottenham Court Road, ma a dire il vero
          non ci stavo con la testa.
             Ero troppo preoccupato.
             Fu un’altra lunga notte insonne passata a rigirarmi nel letto. Dovevo presentarmi a

          mezzogiorno,  quindi  decisi  che  era  meglio  uscire  di  casa  con  largo  anticipo  per
          arrivare  puntuale  alla  stazione  della  polizia  ferroviaria.  Non  volevo  offrire  loro
          alcun pretesto. Bob sarebbe rimasto a casa, casomai le forze dell’ordine avessero

          deciso  di  trattenermi  per  molte  ore.  Mentre  camminavo  avanti  e  indietro  per
          l’appartamento, mangiando una fetta di pane tostato, cercavo di dominare l’ansia che
          mi serrava la gola.
             «Non  preoccuparti,  amico.  Tornerò  prima  che  tu  possa  accorgertene»,  lo
          rassicurai uscendo. Dentro di me, però, ero molto preoccupato.

             Mi ci volle più tempo del previsto per trovare la stazione di polizia che era situata
          in una via laterale di Tottenham Court Road. Mi ci avevano portato con un furgone e
          mi avevano rilasciato a notte fonda, quindi non c’era da sorprendersi se faticavo a

          raccapezzarmi.  Quando  finalmente  trovai  il  comando  della  polizia,  rimasi  seduto
          all’interno ad aspettare per venti minuti, un periodo che mi parve lungo un secolo e
          durante il quale non riuscii a concentrarmi su un solo pensiero. Alla fine fui invitato
          a entrare in una stanza dove mi aspettava una coppia di poliziotti: un uomo e una
          collega più giovane.
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