Page 68 - A spasso con Bob
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E se fosse stata tutta una montatura? E se avessero manomesso il video della
telecamera? E cosa sarebbe accaduto al processo se era soltanto la mia parola
contro quella di tre o quattro dipendenti della metropolitana londinese?
Ma ciò che mi tormentava di più era il pensiero di Bob. Chi si sarebbe occupato
di lui? Avrebbe accettato un nuovo padrone oppure avrebbe preferito tornare a
vivere in strada? La sola prospettiva mi faceva precipitare nell’ansia.
Rimasi dentro per tre ore o forse quattro, non lo sapevo con certezza perché avevo
perso la cognizione del tempo. Nella cella c’era solo luce artificiale e non capivo se
era giorno o notte.
A un certo punto la porta si aprì ed entrarono una giovane donna poliziotto e un
altro agente che aveva un’aria minacciosa.
«Dovrei farle il test del DNA», mi disse la donna mentre il collega si era piazzato
in un angolo a braccia conserte e mi fissava.
«D’accordo», risposi senza incrociare lo sguardo di lui.
«Si accomodi su questa sedia. Le preleverò un campione di saliva dalla bocca»,
mi spiegò l’agente donna mentre tirava fuori un piccolo kit con una serie di tamponi e
provette di vetro.
Improvvisamente mi sembrò di essere dal dentista.
«Apra bene la bocca», mi ordinò e poi strofinò il tampone all’interno della
guancia e sulla lingua. Un attimo dopo era già tutto finito.
«Bene, a posto», concluse riponendo il tampone in una provetta e raccogliendo
tutto il suo armamentario.
Finalmente mi fecero uscire dalla cella e mi portarono davanti alla scrivania,
nell’atrio della stazione, dove avevo lasciato le mie cose. Mi dissero di firmare un
foglio in cui c’era scritto che venivo rilasciato su cauzione e che dovevo
ripresentarmi un paio di giorni più tardi.
«Quando mi direte se verrò formalmente incriminato?» domandai certo che non
potessero rispondermi. Invece, con mia massima sorpresa, mi comunicarono che
l’avrei saputo il giorno in cui dovevo ripresentarmi.
«Davvero?»
«Sì, è molto probabile.»
Quella notizia da un lato mi faceva piacere e dall’altro mi angosciava. Era bene
saperlo così non avrei dovuto tormentarmi a lungo, ma al contempo era anche una
grossa preoccupazione perché nel giro di pochi giorni potevo finire dentro. Una
prospettiva a cui non volevo neanche pensare.
Quando uscii all’aperto era buio pesto e faticavo a raccapezzarmi. Dovevo
trovarmi dalle parti di Warren Street; in giro c’erano già capannelli di barboni che si
preparavano a trascorrere la notte nascosti in qualche vicolo.
Mancava poco alle ventitré e quando arrivai finalmente alla stazione della
metropolitana di Seven Sisters era trascorsa un’ora e le strade erano piene di
ubriachi e di persone sbattute fuori dai pub.