Page 55 - A spasso con Bob
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Con il passare dei mesi mi ero convinto che Bob fosse abile a capire le persone,
          perché  se  in  giro  c’era  un  tipo  bislacco,  lui  lo  fiutava  a  distanza.  Si  accorse  del
          controllore  appena  l’uomo  mosse  i  primi  passi  verso  di  noi  e  per  reazione  mi  si
          rannicchiò contro.

             «Tutto bene, amico?» chiesi.
             «No, per niente. Togliti dai piedi, altrimenti…» rispose in tono minaccioso.
             «Altrimenti, che cosa?» ribattei.
             «Te lo faccio vedere io che cosa! Ricordati, ti ho avvertito.»

             Sapevo  che  fuori  della  stazione  non  aveva  potere  e  che  voleva  soltanto
          spaventarmi, ma dopo quell’episodio decisi che sarebbe stato meglio cambiare aria
          per un po’.
             Mi spostai pochi metri più avanti, quel tanto che bastava per non essere visto dai

          Guardiani. Non era un luogo in cui mi trovavo bene perché per un verso o per l’altro
          c’era sempre un idiota che dava un calcio al mio zaino o che si divertiva a fare degli
          scherzi a Bob.
             Anche lui era a disagio e tutte le volte che ero costretto a suonare a quell’angolo,
          si raggomitolava e stringeva le pupille fino a ridurle due fessure. Era questo il suo

          modo per dirmi: Non mi piace stare qui.
             Così  un  giorno  decisi  di  cambiare  zona.  Scendemmo  dall’autobus  e  a  piedi
          attraversammo Soho in direzione di Piccadilly Circus. Eravamo ancora nel centro di

          Londra,  per  l’esattezza  nel  quartiere  di  Westminster,  quindi  vigeva  ancora  il
          medesimo regolamento per gli artisti di strada.
             Quella volta decisi però di rispettare la legge, piegai a destra e imboccai la via
          che portava a Leicester Square, l’area destinata ai musicisti.
             Una  volta  sul  posto,  scelsi  un  punto  abbastanza  vicino  a  una  delle  entrate

          principali  della  stazione  della  metropolitana,  proprio  fuori  il  museo  di  stranezze
          Ripley’s-Believe It Or Not.
             Era  un  tardo  pomeriggio  molto  affollato,  c’erano  centinaia  di  turisti  che  si

          dirigevano verso i cinema e i teatri di West End.
             Bob era un po’ nervoso perché si era acciambellato ai miei piedi, forse per via
          della ressa o forse perché si trovava in un luogo che non conosceva. Comunque, fino
          alle sei di sera tutto filò liscio e da un gruppo di turisti giapponesi imparai una nuova
          parola straniera per gatto: neko.

             Fu più o meno a quell’ora che un dipendente del museo uscì in strada: indossava
          un  costume  gonfiabile  che  lo  faceva  sembrare  tre  volte  più  grosso  del  normale  e
          gesticolava come un forsennato per invitare i passanti a visitare l’esposizione.

             Forse vi si poteva ammirare l’uomo più ciccione del mondo? O forse era solo una
          dimostrazione del lavoro più ridicolo del pianeta?
             Quello  che  so  per  certo  è  che  quel  tipo  non  piaceva  al  mio  gatto  che,  senza
          perderlo d’occhio un istante, aveva cercato rifugio tra le mie gambe. Nel suo sguardo
          percepivo un leggero stato d’ansia: le cose strane e bizzarre gli facevano paura.
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