Page 51 - A spasso con Bob
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                                             Ufficialmente una famiglia
             UN giovedì mattina mi alzai prima del solito, preparai la colazione per tutti e due
          e uscii di casa con Bob. Salimmo sull’autobus, ma invece di proseguire per il centro,

          scendemmo vicino a Islington Green.
             La  sera  prima  avevo  preso  una  decisione  importante:  dato  che  Bob  sembrava
          intenzionato ad accompagnarmi al lavoro, non potevo correre il rischio di perderlo e
          dovevo fargli mettere un microchip.

             Un tempo l’inserimento sottocutaneo era abbastanza problematico, ma adesso era
          tutto molto più semplice.  Il veterinario iniettava un minuscolo chip all’altezza del
          collo  con  un  piccolo  intervento  chirurgico.  Il  sensore  contiene  un  codice  di
          identificazione abbinato ai dati anagrafici del padrone. Così, se viene ritrovato un

          gatto, si può leggere con uno scanner il codice e riportarlo alla sua famiglia.
             Considerato  il  tipo  di  vita  che  stavamo  conducendo,  mi  era  sembrato  corretto
          dotare  Bob  di  un  microchip.  Se  disgraziatamente  ci  fossimo  separati,  avremmo
          potuto  ritrovarci  e  se  mi  fosse  successo  qualcosa  di  brutto,  perché  le  disgrazie
          chiamano disgrazie, il codice avrebbe confermato che Bob non era un randagio e che

          aveva avuto una famiglia che l’amava.
             Qualche  giorno  prima  mi  ero  informato  in  biblioteca  e  avevo  scoperto  che  ci
          volevano  dalle  sessanta  alle  ottanta  sterline,  una  cifra  esorbitante  che  non  potevo

          assolutamente permettermi e che, in ogni caso, anche se avessi avuto i soldi, non
          avrei mai sostenuto per una questione di principio.
             Mi ritrovai a parlarne qualche giorno più tardi con l’«angelo custode dei gatti», la
          vecchia signora che viveva dall’altra parte della strada.
             «Dovresti andare all’unità veterinaria mobile, il giovedì sono a Islington Green»,

          mi spiegò. «Ti fanno pagare solo il costo del microchip, ma devi andarci la mattina
          presto perché c’è sempre molta gente e sono aperti solo dalle dieci a mezzogiorno.»
             E  così  il  giorno  prestabilito  arrivai  a  destinazione  ben  prima  dell’inizio  delle

          visite.  Come  la  mia  gentile  amica  aveva  previsto,  la  coda  era  già  lunghissima  e
          continuava per tutta la via fino alla libreria Waterstone all’incrocio.
             C’era la solita «fauna» che si trova in situazioni simili: bipedi con i loro gatti
          dentro  trasportini  colorati  e  cani  che  si  annusavano  l’un  l’altro  e  abbaiavano.  In
          generale  l’atmosfera  era  comunque  abbastanza  piacevole  e  visto  che  splendeva  il

          sole, non mi dispiaceva aspettare in coda il mio turno.
             Bob era l’unico felino «libero» e come sempre attirò l’attenzione dei presenti, in
          particolare  di  due  anziane  signore  che  continuavano  ad  accarezzarlo  e  a  fargli  i

          complimenti.
             Dopo un’oretta toccò a noi e ci accolse una giovane assistente veterinaria con i
          capelli tagliati corti a caschetto.
             «Scusi, quanto costa l’intervento?» m’informai subito.
             «In tutto fanno quindici sterline.»
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