Page 49 - A spasso con Bob
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Vivere con Bob era divertente, non ci si annoiava mai, ma anche lui, come tutti gli
essere speciali, aveva il suo bel caratterino.
Era trascorso un mese dal giorno in cui era entrato in casa mia e fin dall’inizio si
era rifiutato di usare la lettiera. La detestava. Letteralmente. Ed era capace di
trattenersi, aspettando il momento in cui aprivo la porta per precipitarsi all’esterno a
fare i suoi bisogni.
Volevo mettere fine a quest’abitudine, soprattutto perché non era divertente salire
e scendere cinque rampe di scale e uscire in strada tutte le volte che Bob voleva
andare alla toilette.
Va bene, mi dissi, vediamo chi la spunta. Un giorno, per costringerlo a fare i
bisogni nella casettina, rimasi chiuso in casa per ventiquattr’ore. Bob non capitolò e
si trattenne per tutto il tempo. Quando alla fine aprii la porta, uscì come un razzo sul
pianerottolo, si precipitò giù per le scale e corse fuori. La partita era finita: game,
set e match, tutti a favore di Bob. Quel giorno capii che tra noi due il più forte era
lui.
Nel suo carattere c’era anche un lato selvaggio, come se non fosse mai stato un
gatto domestico. Da quando era stato sterilizzato, era sicuramente più tranquillo, ma
ogni tanto faceva ancora il matto e giocava con tutto quello che gli capitava a tiro.
Un giorno lo guardai rincorrere per oltre un’ora un tappo di sughero. Un’altra
volta lo vidi giocare in soggiorno con un calabrone moribondo che si rigirava sul
tavolino. L’insetto ogni tanto cadeva sul tappeto e Bob delicatamente lo sollevava da
terra con la bocca e lo rimetteva sulla superficie di legno. Poi restava a guardarlo
agonizzare. Non voleva mangiarselo, voleva soltanto giocarci.
L’istinto selvaggio si manifestava anche in altre situazioni, per esempio con il
cibo. Quando usciva per i bisogni non mancava mai di fare una capatina tra i bidoni
della spazzatura. Se per terra c’era un sacco, attaccato da una volpe o dai cani
randagi, Bob andava sempre a controllarne il contenuto e una volta lo vidi portare
via una coscia di pollo sfuggita alle ispezioni dei quadrupedi assidui frequentatori
del luogo.
Le vecchie abitudini sono dure a morire, avevo commentato in silenzio.
Sebbene io lo nutrissi regolarmente ogni giorno, Bob considerava ancora ogni
pasto come se fosse l’ultimo.
A casa, appena riempivo la ciotola, vi infilava dentro il muso e cominciava a
strafogarsi come se non esistesse un domani e quella fosse la sua ultima abbuffata.
«Mangia piano», gli ripetevo, «non aver fretta, goditi la tua pappa», ma era inutile.
Mi spiegavo questa sua voracità con il fatto che per molto tempo aveva dovuto
cogliere al volo l’opportunità di riempirsi il pancino e non riusciva ancora ad
abituarsi all’idea di avere due pasti fissi al giorno. Non potevo certo biasimarlo.
Bob e io avevamo molto in comune e, forse proprio per questo motivo tra noi si era
creato subito un legame che era diventato ogni giorno più forte.
L’unica cosa che mi irritava è che c’erano peli dappertutto. Ormai eravamo in