Page 46 - A spasso con Bob
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                                                  I due moschettieri
             BOB  non  stava  solo  cambiando  l’atteggiamento  della  gente  nei  miei  confronti:
          stava anche modificando il mio atteggiamento verso gli altri.

             Io non sapevo che cosa voleva dire assumersi delle responsabilità nei confronti di
          qualcuno:  dal  giorno  in  cui  me  ne  ero  andato  di  casa,  avevo  dovuto  soprattutto
          occuparmi  di  me  stesso,  principalmente  perché  non  c’era  nessun  altro  disposto  a
          farlo,  con  il  risultato  finale  che  l’unico  impegno  che  avevo  affrontato  era  la  mia

          personale lotta per la sopravvivenza.
             L’ingresso di Bob nella mia vita aveva fortemente modificato questo equilibrio e
          di colpo ero diventato responsabile di qualcun altro. La sua salute e la sua felicità
          avevano cominciato a riempiere i miei pensieri.

             All’inizio era stato uno choc ma poi avevo cominciato ad abituarmi e l’idea di non
          essere più solo mi piaceva ogni giorno di più. Forse può sembrare stupido quello
          che sto per dire, ma cominciavo anche a capire che cosa può voler dire accudire un
          neonato.  Bob  era  il  mio  bebè  e  assicurarmi  che  non  avesse  freddo,  che  fosse  al
          sicuro e ben nutrito era veramente gratificante. Ma c’erano anche dei momenti in cui

          mi prendeva la paura.
             Mi  preoccupavo  molto,  soprattutto  quando  eravamo  fuori.  A  Covent  Garden  o
          dovunque mi trovassi, avevo sempre un atteggiamento protettivo e il mio istinto mi

          suggeriva, a ragione, di tenere sempre d’occhio il mio amico peloso.
             Non mi ero lasciato intenerire dal modo in cui la gente gli si avvicinava. Per le
          strade di Londra non circolavano soltanto turisti gentili e amanti degli animali. E non
          tutti reagiscono allo stesso modo quando vedono un tizio dai capelli lunghi con il suo
          gatto cantare all’angolo di una strada.  Da quando c’era  Bob mi capitava meno di

          frequente,  ma  sono  stato  oggetto  di  insulti  e  maltrattamenti  soprattutto  da  parte  di
          giovani  che  avevano  alzato  un  po’  il  gomito,  che  si  ritengono  superiori  soltanto
          perché alla fine del mese ricevono uno stipendio.

             «Sposta le tue chiappe da un’altra parte e cercati un lavoro, barbone che non sei
          altro»,  erano  di  questo  genere  le  frasi  che  di  solito  mi  gridavano,  anche  se  il
          linguaggio usato era quasi sempre più colorito.
             Ormai  mi  ero  abituato  ai  loro  insulti.  Tutt’altro  discorso,  invece,  se  se  la
          prendevano  con  Bob,  perché  allora  mi  scattava  qualcosa  dentro  e  reagivo  con  la

          stessa foga di un padre che difende il figlio.
             Spesso  i  balordi  ci  vedevano  come  bersagli  facili  e  quasi  tutti  i  giorni
          c’imbattevamo in qualche idiota. C’era chi ci sputava addosso ingiurie o chi ci si

          piazzava davanti e cominciava a ridere, ma c’era anche gente più pericolosa che ci
          minacciava.
             Un venerdì sera, più o meno tre settimane dopo la mia «prima volta» in Covent
          Garden con Bob, stavo suonando in James Street quando vidi avvicinarsi un gruppo
          di teppisti piuttosto chiassosi e con l’aria di voler attaccare briga. Un paio di bulli
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