Page 47 - A spasso con Bob
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notò Bob e cominciò a fare versi stupidi con bau, bau e miao, miao, roba del genere,
più che altro per divertire gli altri. Potevo anche fare finta di nulla, erano solo
scherzi puerili, se non che a un certo punto, senza un motivo, uno di loro diede un
calcio alla custodia della chitarra in cui era acciambellato Bob. Non si trattò di un
colpetto leggero, no, quello stronzo aveva calciato con forza, tanto da capovolgerla
sul marciapiede.
Bob si spaventò. Dalla gola gli uscì un suono acuto come un grido. Per fortuna
avevo legato il suo guinzaglio all’astuccio, altrimenti sarebbe scappato tra la folla e
forse non l’avrei mai più rivisto; invece, impedito nei movimenti, aveva pensato
bene di rifugiarsi dietro il mio zaino.
Non ci vidi più dalla rabbia e affrontai il teppista a muso duro.
«Ma sei fuori? Perché hai fatto una stronzata simile?» Ero più alto di lui, in un
certo senso lo sovrastavo, ma non sembrava intimorito.
«Volevo vedere se era di plastica», bofonchiò ridendo come se avesse appena
detto qualcosa di molto divertente. Non ci trovavo nulla di comico.
«Sei proprio un pezzo di merda», sbottai e quello fu il calcio d’inizio. Gli altri si
avvicinarono e ci accerchiarono. Uno iniziò a spintonarmi, io lo contrastai e per una
manciata di secondi ci fronteggiammo. Poi alzai il braccio e indicai una telecamera
che sapevo essere posizionata all’incrocio della via.
«Avanti, colpisci pure, ma ricordati che ti stanno filmando. E ora vediamo se
continui a fare il bullo…»
L’espressione di stupore sulle loro facce era una di quelle immagini che mi
sarebbe piaciuto rivedere più tardi sullo schermo della TV a circuito chiuso.
Quelle canaglie erano abbastanza sgamate da sapere che non puoi usare la
violenza davanti a una telecamera perché finisci dritto in galera e quindi il tizio che
avevo davanti mi lanciò un’occhiataccia del tipo: Questa me la paghi!
La ghenga girò sui tacchi e se ne andò urlandoci dietro ogni genere di insulto
accompagnato da gesti scurrili.
Non mi preoccupai più del necessario, tuttavia decisi che per quella sera poteva
bastare.
L’incidente mi servì per riflettere su due aspetti, uno positivo e l’altro negativo.
Primo: era sempre meglio piazzarsi vicino a una telecamera, me lo aveva insegnato
un altro musicista di strada. «Mettiti a suonare dove ti vedono», mi aveva detto, ma
io, che all’epoca ero un saputello prepotente non gli avevo dato retta, convinto che in
quel modo avrei fornito ai Guardiani la prova che stavo lavorando in una zona non
mia. Ma con il tempo e con maggiore umiltà avevo compreso quanto saggio fosse
stato il suo consiglio. Secondo: nelle situazioni di pericolo ero completamente solo,
qualcosa che già sapevo. Non c’era mai né un poliziotto né uno dei ficcanasi di
Covent Garden, per non parlare degli addetti della metropolitana, sempre così solerti
nel mandarmi via. Quando eravamo stati aggrediti, nessuno dei passanti si era
avvicinato ed era intervenuto in mio aiuto. Sotto questo aspetto la presenza di Bob