Page 44 - A spasso con Bob
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buffo guardarlo muoversi mentre si trascinava dietro il filo a mo’ di coda. Tutte le
volte lo premiavo dandogli un croccantino, uno snack o un giochino. Dopo un paio di
giorni ci avventurammo fuori per una breve passeggiata e nel giro di poco Bob si
abituò alla pettorina come se fosse una seconda pelle.
Uscivamo tutte le mattine insieme e andavamo al lavoro. Avevo deciso di suonare
un po’ meno perché non volevo stancarlo troppo. Anche se sapevo che mi avrebbe
seguito all’inferno, e che non doveva camminare a lungo perché si accoccolava sulla
mia spalla, non volevo comunque esagerare.
Fu durante la terza settimana del nostro ménage che Bob, per la prima volta,
decise di non accompagnarmi al lavoro.
Di solito appena mi vedeva indossare il giaccone e prendere lo zaino,
trotterellava da me e aspettava che lo preparassi per uscire. Quel giorno, invece, si
nascose dietro il divano, poi uscì fuori e si sdraiò sotto il calorifero. Era il suo modo
per dirmi: Oggi faccio festa.
«Non ti va, vero?» gli bisbigliai accarezzandolo.
Nei suoi occhietti verde oro lessi la risposta.
«Nessun problema, ci vediamo quando torno», lo rassicurai mentre andavo in
cucina per riempire la ciotola con dei croccantini da sgranocchiare durante la mia
assenza.
Avevo letto da qualche parte che la televisione accesa fa compagnia agli animali
domestici che rimangono soli in casa. Non sapevo se a quell’ora ci fossero
programmi interessanti per spettatori a quattro zampe, ma Bob sembrò gradire e si
acciambellò davanti allo schermo.
Uscire da solo quel giorno servì a farmi capire quanto ormai Bob fosse importante
nella mia vita. Con lui sulla spalla o al guinzaglio, ero anch’io al centro
dell’attenzione, mentre adesso, senza la sua presenza, rischiavo di tornare invisibile.
Tuttavia, qualcuno nel quartiere mi riconobbe e non poté fare a meno di chiedermi
dove fosse Bob. «Dov’è il gatto, oggi?» mi domandò un venditore ambulante quando
mi vide passare davanti alla sua bancarella.
«Si è preso un giorno di ferie», risposi.
«Ah, meno male. Temevo gli fosse successo qualcosa», aggiunse sorridendo.
Un paio di altre persone mi fermarono e mi rivolsero la stessa domanda. Appena
spiegavo che Bob stava bene, si allontanavano, non gliene importava di me, lo
sapevo e mi andava bene così.
Quel pomeriggio in James Street dovetti suonare qualche ora in più per
guadagnare circa la metà di quanto avevo incassato nelle settimane precedenti.
Fu mentre tornavo a casa quella sera che cominciai a vedere con chiarezza la
situazione: non era una questione di soldi, la verità era che da quando Bob era
entrato a far parte della mia vita, questa si era arricchita di significato. La sua
compagnia era talmente stimolante da farmi sentire più forte, più fiducioso, sicuro di
farcela a rimettermi in gioco e ricominciare.