Page 40 - A spasso con Bob
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promesso», gli bisbigliai mentre mi avviavo verso il quartiere dei teatri.

             Lungo la strada, successe esattamente quanto era accaduto il giorno prima. Nello
          spazio di dieci minuti almeno sei o sette persone ci fermarono e la metà ci scattò una
          foto.

             Avevo capito che per evitare i capannelli di persone e non perdere troppo tempo,
          dovevamo continuare a muoverci.
             Quando finalmente raggiungemmo l’incrocio con James Street, Bob si mosse dalla
          sua  posizione,  mi  percorse  il  braccio  e  con  un  balzo  saltò  a  terra,  mi  superò  e
          cominciò a camminare sicuro davanti a me.  Era ovvio che non aveva dubbi sulla

          direzione da prendere.
             Raggiunta la postazione della sera prima, aspettò che togliessi la chitarra dalla
          custodia e la appoggiassi aperta sul marciapiede. «Prego, accomodati», lo invitai.

             Bob  vi  saltò  dentro  e  si  sistemò  in  modo  da  poter  osservare  il  bel  mondo  di
          Covent Garden.
             C’è stato un periodo della mia vita in cui ero veramente convinto di poter sfondare
          nella musica diventando il nuovo Kurt Cobain. Per quanto stupido e ingenuo possa
          sembrare oggi, quel sogno era alla base del mio progetto di lasciare l’Australia e

          tornare in Inghilterra, come avevo spiegato a mia madre.
             Gli inizi non erano stati facili, ma nel 2002, la situazione era migliorata: avevo
          smesso di dormire all’addiaccio e avevo trovato riparo in un centro di accoglienza a

          Dalston. La fortuna sembrava aver girato dalla mia parte perché alla fine ero riuscito
          a mettere insieme una band di quattro chitarristi che si chiamava  Hyper  Fury e la
          diceva lunga sul mio stato d’animo e su quello dei miei compagni.
             Ero un giovane uomo piuttosto arrabbiato, anzi direi che ero veramente furioso. Ce
          l’avevo in generale con la vita e in particolare non avevo smesso di pensare di non

          aver avuto le stesse opportunità dei miei coetanei. Allora la musica esprimeva tutta
          la mia rabbia e anche la mia frustrazione.
             Le nostre canzoni erano fuori dagli schemi, per non dire dure, e ci ispiravamo a

          gruppi  come  i  Nine  Inch  Nails  e  i  Nirvana.  Alla  fine  riuscimmo  a  incidere  due
          album, anzi per l’esattezza erano dei minialbum (EP, come si dice in gergo). Il primo
          uscì nel settembre del 2003 in coppia con un’altra band, i Corrision, e conteneva due
          pezzi piuttosto forti e aggressivi anche nel titolo, che ben esprimevano tutta la nostra
          «filosofia»  musicale.  Sei  mesi  più  tardi,  nel  marzo  del  2004,  pubblicammo  la

          seconda  raccolta.  Le  vendite  non  andarono  bene  e  non  raggiungemmo  il  successo
          sperato che per una band come la nostra voleva dire essere invitati al Glastonbury
          Festival.

             Comunque  avevamo  anche  i  nostri  fan  e  suonavamo  in  alcuni  locali  in  cui
          venivano  organizzate  serate  musicali  gothic.  Ma  il  luogo  più  importante  in  cui  ci
          esibimmo  ben  due  volte  fu  il  mitico  pub Dublin  Castle  in  occasione  del  Gothic
          Summer Festival.
             In  fondo  non  c’era  di  che  lamentarsi  e  ricordo  pure  che  avevo  cominciato  a
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