Page 36 - A spasso con Bob
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«D’accordo, amico. Se ti diverti a stare qui, per me va bene», gli dissi, dandogli
          un buffetto sulla testa. «E se poi ci becchiamo qualche spicciolo in più, va ancora
          meglio.»
             Solo che quella sera non si trattava soltanto di qualche spicciolo in più.

             Ero abituato a guadagnare in media venti sterline al giorno, quanto mi bastava per
          comprare da mangiare e mettere via qualcosa per le spese di casa. Alle otto, quando
          finalmente decisi di riporre la chitarra, vidi nella custodia un mucchio di monete, di
          valore diverso, e anche qualche banconota.  Impiegai diversi minuti per contare il

          tutto  e,  alla  fine,  con  enorme  sorpresa  e  soddisfazione,  scoprii  che  avevamo
          incassato  la  bellezza  di  sessantatré  sterline  e  settantasette  centesimi.  Forse,  per  i
          passanti di Covent Garden, non era poi questa gran cifra, ma per me rappresentava
          una vera fortuna.

             Riposi l’intero incasso nello zaino e me lo caricai in spalla; all’interno le monete
          tintinnavano  allegramente  come  dentro  uno  di  quei  grossi  salvadanai  a  forma  di
          porcellino. Accidenti, non avevo mai guadagnato così tanto in vita mia!
             Presi Bob in braccio e lo accarezzai sulla schiena. «Ben fatto, amico. Oggi è stata
          una giornata campale.» Non avevo bisogno di suonare davanti ai pub e sapevo anche

          che Bob aveva fame e doveva mangiare qualcosa.
             Lo sistemai al suo posto sulla spalla, e mi avviai a passo veloce verso la fermata
          dell’autobus. Non volevo essere sgarbato con nessuno, ma decisi che non mi sarei

          fermato,  anche  se  ci  chiamavano  o  ci  sorridevano.  Volevo  rientrare  nel  nostro
          appartamento il prima possibile. «Stasera festeggiamo», gli sussurrai.
             Salimmo sul bus e durante l’intero viaggio Bob rimase con il nasino incollato al
          finestrino a guardare i fari delle auto nel traffico della sera.
             Scendemmo  vicino  a  un  buon  ristorante  indiano  in  Tottenham  High  Road;  ci

          passavo sempre davanti tornando a casa, leggevo il menu e mi veniva l’acquolina in
          bocca, ma poi non entravo e mi infilavo invece nella scadente rosticceria vicino al
          condominio.

             «Bob ora ci concediamo un fior di cenetta.»
             Entrai nel locale e ordinai una porzione di pollo tikka masala con riso al limone e
          peshwari naan, la tipica focaccina di mandorle e uvette. I camerieri ci lanciarono
          un’occhiata divertita quando videro Bob attaccato a quel buffo guinzaglio. Dissi che
          sarei tornato dopo venti minuti e mi precipitai nel supermercato dall’altra parte della

          strada. Comprai alcune confezioni di pappa per gatti extralusso e due di croccantini
          della sua marca preferita. Per l’occasione mi regalai anche due lattine di birra.
             Be’, ogni tanto, un bicchiere non guasta, oggi è un gran giorno.

             Recuperata la mia prelibata cena indiana raggiungemmo casa quasi correndo tanto
          morivamo di fame.  Il profumo che usciva dal sacchetto di carta del ristorante era
          così invitante che avevo i crampi allo stomaco per la fame.
             Ci buttammo letteralmente sul cibo neanche fossimo due lupi, e mangiammo come
          se quello fosse stato il nostro ultimo pasto.
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