Page 31 - A spasso con Bob
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                                              Al centro dell’attenzione
             PER i successivi quarantacinque minuti Bob rimase sulle mie ginocchia con il naso
          spiaccicato contro il finestrino dell’autobus. Sembrava affascinato da tutte le auto, i

          furgoncini, le moto, i pedoni che gli correvano sotto gli occhi, senza dare segni di
          paura.
             Soltanto quando il suono della sirena di un’autoambulanza, di una volante della
          polizia o del camion dei pompieri si faceva troppo assordante, si ritraeva dal vetro e

          mi guardava in cerca di rassicurazione. Che strano, mi dicevo, se fino a ieri è stato
          un gatto randagio dovrebbe essere abituato a questi rumori…
             «Non preoccuparti», lo rassicuravo e tutte le volte e accompagnavo le mie parole
          con delle carezze sulla nuca. «Siamo nel cuore di Londra, niente paura.» Mentre gli

          parlavo, vari pensieri si affastellavano nella mente, ma ce n’era uno più persistente
          degli altri: Bob era entrato nella mia vita per rimanervi e, forse, questo non sarebbe
          stato il nostro primo e ultimo viaggio.
             Mi  preparai  per  scendere  alla  solita  fermata  nei  pressi  della  stazione  della
          metropolitana di Tottenham Court Road. Presi con una mano la mia chitarra e me la

          misi in spalla, con l’altra afferrai Bob e lo tenni stretto. Raggiunto il marciapiede
          frugai nella tasca del giaccone con la mano libera in cerca del guinzaglio fatto con il
          laccio di scarpe che avevo già usato con lui in passato. Glielo fissai attorno al collo

          prima  di  deporlo  sul  marciapiede,  perché  non  volevo  che  si  allontanasse  da  me.
          L’incrocio  tra  Tottenham  Court  Road  e  New  Oxford  Street  brulicava  di  gente:
          persone che facevano shopping, turisti a zonzo, londinesi che andavano e venivano a
          spasso svelto. Si sarebbe sicuramente perso o, peggio ancora, sarebbe finito sotto
          uno degli autobus o dei taxi che percorrevano Oxford Street se non lo tenevo legato.

             Ovviamente Bob era un po’ intimidito da tutto quel traffico e da un territorio che
          non conosceva; lo capivo dalle occhiate che mi lanciava e anche dal modo un po’
          nervoso in cui si muoveva. Fu per questo motivo che abbandonai la grande arteria

          commerciale e imboccai una strada laterale per raggiungere Covent Garden.
             «Dai,  Bob,  usciamo  da  tutto  questo  casino»,  gli  dissi,  ma  lui  continuava  a
          camminare  con  passo  incerto  e  dopo  qualche  metro  capii  che  cosa  mi  stava
          chiedendo.
             «D’accordo,  ma  che  non  diventi  un’abitudine.»  Lo  sollevai  da  terra  e  me  lo

          sistemai  sulla  spalla  come  avevo  fatto  per  attraversare  Tottenham  High  Road.  Si
          accomodò subito in quella che evidentemente era per lui la posizione più comoda: un
          po’ di sghembo, con le zampe anteriori poggiate sul mio braccio. Sembrava essere di

          vedetta  su  una  nave.  Continuavo  a  ridere  da  solo  perché,  a  guardarmi,  avevo
          l’aspetto di  Long  John  Silver, il famoso pirata dell’Isola del tesoro, soltanto che
          invece di un pappagallo avevo sulla spalla un gattino pel di carota.
             Sentivo Bob fare le fusa mentre mi avviavo verso Covent Garden e di lì a poco mi
          dimenticai quasi della sua presenza.
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