Page 30 - A spasso con Bob
P. 30
appena si fosse aperto un varco, perché in lontananza avevo visto spuntare il bus,
sentii qualcuno o qualcosa che mi sfregava la gamba dei pantaloni. Abbassai lo
sguardo e scorsi accanto a me una figura familiare. Era Bob, concentrato, anche lui, a
cogliere l’attimo giusto per attraversare.
«Ma che diavolo ci fai qui?» gli chiesi e lui, per tutta risposta, mi lanciò
un’occhiata sprezzante come se gli avessi posto la più stupida delle domande. Poi si
avvicinò ancora di più al bordo del marciapiede pronto a scattare al momento giusto.
Non potevo lasciarlo rischiare, ci avrebbe lasciato sicuramente la pelle. Così lo
sollevai da terra e me lo misi su una spalla, come facevo di tanto di tanto. Lui si
aggrappò rannicchiandosi tutto contento, mentre io schivavo le auto e raggiungevo il
marciapiede opposto.
«Bene, Bob. Il viaggio finisce qui», gli dissi, deponendolo sul marciapiede e
allontanandolo da me con un gesto della mano. Lo osservai sgattaiolare via e sparire
tra la folla. Forse questa è l’ultima volta che ci vediamo, pensai, adesso sei troppo
lontano da casa.
Pochi secondi dopo arrivò l’autobus. Era il tipico bus rosso a due piani sul quale
si può salire al volo da dietro. Avevo appena sistemato la chitarra nell’apposito
spazio vicino alla postazione del bigliettaio e stavo per sedermi quando, con la coda
dell’occhio, vidi una palla di pelo rosso. Prima ancora di rendermene conto, Bob
con un balzo si accoccolò sul sedile accanto al mio.
Ero senza parole. In quel momento mi resi conto che non mi sarei mai liberato di
quel gatto, ma capii anche un’altra cosa. Lo invitai a saltarmi in grembo e lui obbedì
immediatamente. Qualche attimo dopo un’allegra donna di origine caraibica
controllò il mio biglietto e sorridendo, indicando Bob, mi chiese: «È suo?»
«Credo proprio di sì», le risposi.