Page 29 - A spasso con Bob
P. 29
tornare indietro. Lui si allontanava mogio e ogni tanto voltava la testa nella mia
direzione come in attesa di una mia parola. Poi alla fine rinunciò a seguirmi e
scomparve alla mia vista.
Quando tornai a casa, cinque o sei ore più tardi, lo trovai davanti all’ingresso del
condominio che mi aspettava. Da un lato sapevo che non sarebbe dovuto salire in
casa, ma il desiderio di averlo ancora acciambellato ai miei piedi, fu più forte.
Alla fine, dopo qualche giorno, raggiungemmo un accordo.
Sarebbe rimasto in strada, mi avrebbe aspettato nel vialetto di casa oppure, se
qualcuno apriva il portone, seduto direttamente sullo zerbino del mio appartamento.
Era evidente che non aveva alcuna intenzione di andarsene.
Decisi però che dovevo fare l’ultimo penoso passo e lasciarlo fuori anche di
notte. La prima volta che ci provai, lo vidi dalle finestre di casa mentre si aggirava
tra i bidoni della spazzatura e, non so per quale ragione, andai giù a spiarlo, ma fu
una mossa decisamente stupida. I suoi sensi erano molto più sviluppati dei miei e
appena aprii il portone, sgattaiolò immediatamente nell’ingresso. Quella notte rimase
nell’androne, ma la mattina dopo, quando aprii la porta di casa, lo ritrovai sullo
zerbino. Per qualche giorno continuammo con questo teatrino, ma lui aveva già
deciso che l’avrebbe avuta vinta. Così dovetti affrontare un altro piccolo problema:
Bob aveva iniziato a seguirmi.
Il primo giorno cominciò a trotterellarmi dietro fino all’incrocio con la strada
principale ma appena gli feci cenno di andarsene, tornò indietro verso casa. La volta
dopo non mi mollò per un centinaio di metri lungo la via che portava dove prendevo
l’autobus per Covent Garden.
Da una parte ammiravo la sua tenacia e la sua perseveranza e dall’altra me la
prendevo con lui perché non riuscivo a togliermelo di dosso.
Tutte le volte Bob si spingeva più avanti e diventava sempre più spavaldo mentre
io mi torturavo immaginandomi che un giorno si sarebbe cercato un altro posto dove
stare. Però, ogni sera, quando tornavo a casa, era sempre lì ad aspettarmi, ma mi
rendevo anche conto che quell’andazzo non poteva continuare all’infinito. E fu
proprio questo che accadde.
Una mattina uscii come sempre con la mia chitarra acustica nera bordata di rosso e
lo zainetto e stavo scendendo le scale quando lo vidi davanti al portone. Quando Bob
si alzò per seguirmi, lo cacciai via, dicendogli: «Rimani qui, non puoi venire con
me». Quella volta parve aver capito al volo il messaggio, perché sparì. Mentre
percorrevo il vialetto, lanciai più di un’occhiata alle mie spalle per vedere se per
caso non avesse cambiato idea, ma di lui non c’era più traccia. Forse finalmente ha
capito, mi dissi.
Per arrivare alla fermata dell’autobus, dovevo attraversare Tottenham High Road,
una delle vie commerciali più trafficate a nord di Londra. Quel giorno sulla strada
c’erano camion, auto, motociclette che cercavano di farsi largo nel traffico caotico.
Mentre ero fermo sul marciapiede, pronto ad attraversare di corsa la strada