Page 24 - A spasso con Bob
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stato più tranquillo e forse avrebbe smesso di fare il matto.
I vantaggi si riducevano a uno solo: evitargli di sottoporsi a una piccola
operazione chirurgica. Non riuscendo a trovarne altri, presi quella difficile
decisione, sollevai il ricevitore e composi il numero della clinica veterinaria;
dall’altra parte mi rispose una voce femminile.
Le spiegai la situazione e chiesi conferma che l’intervento fosse gratuito.
L’assistente mi rispose di sì, se ero in possesso di un certificato rilasciato da un
veterinario, per cui ero a posto.
Feci presente (perché era l’unica cosa che mi preoccupava) che Bob era sotto
antibiotici, ma l’infermiera mi rassicurò che quei farmaci non interferivano con il
tipo di operazione, poi disse che avrebbero potuto eseguire l’intervento da lì a due
giorni.
«Me lo porti qui di mattina. Se va tutto bene può tornare a prenderlo nel tardo
pomeriggio», mi disse congedandomi.
Il giorno dell’operazione mi alzai presto, perché dovevo raggiungere la clinica
alle dieci e il tragitto da percorrere era lungo, per di più il tempo era pessimo. Da
quando era sotto terapia, Bob era uscito dall’appartamento soltanto per i suoi bisogni
fisiologici, pertanto decisi di trasportarlo fino al centro dentro lo stesso contenitore
verde che avevo più o meno usato due settimane prima, con tanto di coperchio per
ripararlo dal freddo o dalla pioggia. Anche questa volta il mio amico a quattro
zampe non parve gradire quella sistemazione e tirò fuori la testolina per guardarsi
attorno.
L’Abbey Clinic era un piccolo edificio tra un’edicola e un ambulatorio medico in
una via piena di negozi. Arrivammo con largo anticipo ed entrammo in una sala
d’attesa sovraffollata di cani al guinzaglio che ringhiavano contro i gatti chiusi nelle
loro gabbiette. Bob non passava certo inosservato in quel suo trasportino di fortuna,
e fu subito preso di mira da alcuni pit bull con i loro padroni trogloditi.
Non era una situazione piacevole e sono sicuro che molti altri gatti al posto suo se
la sarebbero data a zampe levate, ma il mio micio non era turbato. Evidentemente
aveva riposto tutta la sua fiducia in me.
Quando finalmente fu chiamato il mio nome, una giovane infermiera sui vent’anni
ci venne incontro. Ci fece accomodare in una saletta, aprì la cartella clinica e mi
fece alcune domande di routine.
«L’operazione, come lei sa, è irreversibile. È sicuro di non voler far accoppiare
la sua bestiola in futuro?» mi chiese.
«Sì, sono scuro», risposi e con la mano accarezzai la testolina di Bob.
La domanda successiva mi colse però impreparato.
«Quanto tempo ha il gatto?» continuò con voce gentile.
«Non lo so», risposi e le spiegai per sommi capi come Bob e io ci fossimo
conosciuti.
«Diamo un’occhiata», continuò la ragazza. A sentir lei, si può facilmente