Page 19 - A spasso con Bob
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scherzo. La situazione peggiorò notevolmente a Quinn’s Rock.

             Forse  era  per  via  del  mio  accento  inglese  o  per  la  mia  ansia  di  piacere,  ma
          diventai facile bersaglio di atti di bullismo.
             Un  giorno  i  miei  compagni  decisero  di  lapidarmi,  nel  vero  senso  della  parola,

          perché fui investito da una gragnuola di pietre, bei pezzettoni di roccia calcarea che
          ricoprivano il terreno a perdita d’occhio, e da cui prendeva nome la cittadina.
             Mi aggredirono all’uscita della scuola mentre stavo tornando a casa e, a detta dei
          medici, ne riportai una commozione cerebrale.
             A complicare le cose, in quel periodo non andavo d’accordo con il mio patrigno,

          un poliziotto di nome Nick, che secondo i miei standard di allora, era un coglione (e
          così,  infatti,  lo  chiamavo).  Mia  madre  lo  aveva  conosciuto  poco  dopo  il  nostro
          ritorno in Inghilterra, era venuto a vivere con noi e ci aveva seguiti in Australia.

             Per  tutti  gli  anni  della  mia  adolescenza  continuammo  a  spostarci  da  un  posto
          all’altro, quasi sempre perché mia madre cambiava spesso lavoro.  Era una donna
          molto intraprendente e riscuoteva un buon successo in ambito professionale. A un
          certo  punto  cominciò  a  registrare  dei  corsi  di  televendita  e,  siccome  i  video  si
          vendevano bene, per un po’ le cose filarono lisce. Poi decise di fondare una rivista

          femminile  che  si  chiamava City  Woman  e  che,  al  contrario,  si  rivelò  un  fiasco.
          C’erano periodi in cui avevamo un sacco di soldi e altri in cui eravamo in bolletta,
          ma, da brava imprenditrice qual era, mia madre riusciva sempre a risollevarsi.

             Verso i sedici anni avevo quasi abbandonato gli studi, non ne potevo più di essere
          preso  di  mira  dai  compagni  delle  superiori  e  non  sopportavo  la  convivenza  con
          Nick. All’epoca non davo retta a nessuno e pensavo di aver capito come girava il
          mondo.
             Diventai così un teppistello. Tornavo a casa sempre tardissimo, disubbidivo a mia

          madre e finivo sempre per scontrarmi con l’autorità, qualunque fosse. Non c’è quindi
          da  stupirsi  se  in  breve  tempo  sviluppai  un’abilità  speciale  a  cacciarmi  nei  guai,
          caratteristica, questa, che non sono ancora riuscito a scrollarmi di dosso.

             Com’era prevedibile finii nel giro della droga. Iniziai ad annusare la colla, forse
          per sfuggire alla realtà. Lo avevo visto fare a un ragazzino e ci provai anch’io, ma
          solo un paio di volte. Comunque quello fu l’inizio. Poi mi misi a fumare l’erba e, in
          un  secondo  tempo,  a  sniffare  il  toluene,  un  solvente  industriale  che  si  trova  negli
          smalti  per  unghie  e  nella  colla.  Faceva  tutto  parte  di  un  unico  schema  di

          comportamento, una cosa era legata all’altra. Ero arrabbiato. Ritenevo di non avere
          avuto le stesse possibilità dei miei coetanei.
             «Mostrami come ti comporti a sette anni e ti dirò come sarai da grande», così

          recita  un  detto  popolare.  Be’,  non  sono  sicuro  che  qualcuno  avrebbe  potuto
          indovinare il mio futuro se mi avesse conosciuto quando avevo sette anni, ma so per
          certo  che  dieci  anni  più  tardi  la  mia  strada  era  già  segnata.  Era  una  strada  che
          portava dritta all’autodistruzione.
             Mia madre cercò in tutti i modi di tirarmi fuori dalla droga, rendendosi conto dei
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