Page 14 - A spasso con Bob
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«Va bene amico, ho capito, ti porto in braccio», dissi e con una mano lo tirai fuori
dalla gabbietta improvvisata mentre con l’altra continuavo a tenere la scatola verde.
Mi si arrampicò sulla spalla e fu così che raggiungemmo l’ambulatorio.
La sala d’attesa sembrava un girone dell’inferno: era strapiena di cani con i loro
giovani padroni dalla testa rasata e le braccia tatuate. Più della metà delle bestie
erano bull terrier feriti nei combattimenti clandestini.
Si dice degli inglesi che sono un «popolo amante degli animali», ma vi posso
assicurare che in quella stanza d’amore ce n’era ben poco. Il modo in cui certe
persone li trattano mi dà letteralmente il voltastomaco.
Il mio compagno era piuttosto nervoso. Perlopiù restava aggrappato alla mia
spalla, ma di tanto in tanto si avventurava fino alle ginocchia. I cani gli ringhiavano
contro e un paio di volte i padroni dovettero trattenerli per evitare che ci si
avvicinassero troppo.
Poi, a poco a poco, la sala si svuotò ma il nostro turno sembrava non arrivare mai.
Dovemmo aspettare quattro ore e mezzo prima che l’infermiera pronunciasse
finalmente il mio nome: «Si accomodi signor Bowen, il veterinario la sta
aspettando».
Il medico era un uomo di mezz’età, con l’aria annoiata e l’espressione distaccata
di chi ne ha già viste di tutti i colori. Forse era per via del clima greve e aggressivo
che regnava in quei locali, ma quel tipo mi dava proprio sui nervi.
«Mi dica, qual è il problema?» mi chiese in tono vagamente spazientito. Fui
tentato di rispondergli in modo sgarbato, ma mi trattenni. Gli raccontai di come
avessi trovato per caso il gatto e gli mostrai la piaga sulla zampa.
«Diamogli un’occhiata», ribatté impassibile.
Mi disse che il gatto era sofferente e gli somministrò una piccola dose di
miorilassante per alleviare il dolore, poi mi spiegò che gli avrebbe prescritto una
cura di antibiotici per due settimane.
«Se dopo quindici giorni la situazione non è migliorata, torni qui.»
Pensai che quello fosse il momento giusto per chiedergli delle pulci e lo pregai di
controllare il mantello. Il veterinario ispezionò il pelo e mi disse che non vedeva
nulla. Poi aggiunse: «Gli dia comunque queste pillole. Le pulci possono essere molto
pericolose per i gatti giovani». Volevo ribattere che lo sapevo bene, ma rimasi in
silenzio mentre scriveva la ricetta. Prima di congedarci, controllò se la bestiola
avesse un microchip sottocutaneo; il fatto che ne fosse sprovvista confermava
l’ipotesi che il mio pel di carota fosse verosimilmente un gatto di strada.
«Quando può, dovrebbe fargli mettere un microchip. Poi a breve è necessario
castrarlo», concluse, mentre mi porgeva la richiesta da compilare per rivolgersi
gratuitamente al centro per animali randagi.
«Ottima idea», gli dissi sorridendo e avrei voluto aggiungere qualcos’altro, ma lui
ormai sembrava interessato soltanto a scrivere le ricette al computer e a stamparle.
Ovviamente il mio tempo era finito e, come in una catena di montaggio, bisognava