Page 21 - A spasso con Bob
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Fu a quel punto che la mia nuova famiglia decise di sbattermi fuori di casa. Ero
diventato un ospite indesiderato. Avevo ripreso i contatti con mio padre e ci
eravamo visti un paio di volte, ma era evidente che non avevamo alcuna possibilità
di riallacciare un legame affettivo. Ci conoscevamo appena, e anche solo pensare di
vivere con lui era una follia. Cominciai così a passare da un divano all’altro degli
amici e la mia vita diventò sempre più nomade: giravo sempre con il sacco a pelo
sotto il braccio e dormivo per terra in appartamenti sempre diversi. Quando non ci
furono più pavimenti su cui distendermi, passai direttamente alla strada. Le cose
erano precipitate nel giro di poco tempo.
Se sei un barbone, non hai né dignità né identità e, cosa ancor peggiore, tutti ti
evitano. Sei una non-persona e la gente non vuole avere nulla a che fare con te. Senza
che tu quasi riesca ad accorgertene, ti ritrovi solo al mondo, senza uno straccio di
amico. Ai tempi in cui avevo iniziato a dormire in strada, ero riuscito
incredibilmente a trovare lavoro in un ristorante come lavapiatti, ma i proprietari,
appena avevano scoperto che ero un homeless, mi avevano cacciato via senza un
motivo preciso. Sei non hai una fissa dimora, sei un relitto della società e tutti ti
sbattono la porta in faccia.
In quel momento l’unica cosa che avrebbe potuto salvarmi era tornare in Australia.
Avevo ancora il biglietto di ritorno, ma due settimane prima della partenza mi
rubarono il passaporto e, poiché non avevo altro documento e, dettaglio di non poco
conto, ero senza il becco di un quattrino, non riuscii a partire. Tutte le mie speranze
di tornare dalla mia famiglia svanirono, e io con loro.
Ciò che accadde dopo è avvolto nella nebbia: droga, alcol, qualche furtarello e
tanta, tanta disperazione. Come se non bastasse, avevo cominciato a bucarmi.
All’inizio l’eroina mi aiutava ad annebbiare la coscienza, mi anestetizzava dal
freddo e dalla solitudine che pativo in strada ed era come se mi portasse via dalla
fogna in cui vivevo. Sfortunatamente la droga si stava però portando via anche la mia
anima.
Nel 1998 ero ormai un eroinomane e credo che un paio di volte rischiai
seriamente di morire, anche se non posso esserne sicuro, perché ai tempi ero
talmente fuori da non rendermene conto.
Durante tutto quel periodo non cercai mai di contattare mia madre, ero come
scomparso dalla faccia della Terra e, ve lo assicuro, la cosa non mi importava
perché la lotta per la sopravvivenza assorbiva tutte le mie energie. Con il senno di
poi, posso immaginare quali pene dell’inferno debba aver patito la mia famiglia non
ricevendo più mie notizie, una preoccupazione terribile.
Ebbi una vaga idea della sofferenza che stavo provocando loro solo un anno dopo
il mio trasferimento a Londra, quando ormai vivevo in strada da nove mesi. Era più
o meno la vigilia di Natale e finalmente mi ero deciso a telefonare a mio padre.
Rispose sua moglie, ma lui si rifiutò di venire al telefono e mi lasciò in attesa per
diversi minuti, tanto era furibondo. «Dove accidenti sei stato finora? Ci stai facendo