Page 32 - A spasso con Bob
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Il tempo sarebbe rimasto asciutto per tutto il giorno? Sarei riuscito a suonare per
          almeno cinque ore? Forse sì, il cielo era coperto, ma non c’era aria di pioggia. Che
          tipo di gente avrebbe affollato Covent Garden? Mancavano pochi giorni a Pasqua e
          presumibilmente ci sarebbero stati molti turisti. Quanto tempo avrei impiegato per

          racimolare le venti, al massimo trenta sterline che avrebbero permesso a me e a Bob
          di  tirare  avanti  nei  prossimi  giorni?  La  volta  precedente  c’era  voluto  tutto  il
          pomeriggio  fino  a  sera,  ma  forse  stavolta  le  cose  sarebbero  andate  meglio…  o
          peggio. Chi suona in strada, non puoi mai sapere come andrà a finire una giornata di

          lavoro!
             Erano  questi  i  pensieri  che  mi  frullavano  in  testa  quando  accadde  qualcosa  di
          decisamente inusuale.
             Di  solito  nessuno  mi  rivolgeva  non  dico  una  parola,  ma  neanche  un’occhiata.

          Questa  è  la  dura  legge  di  Londra  per  un  musicista  di  strada!  Per  gli  altri  io  non
          esistevo: ero un fantasma, o meglio un vagabondo da tenere alla larga. Tuttavia quel
          giorno,  mentre  camminavo  con  Bob,  le  persone  che  incrociavo  ci  guardavano
          sorridendo, anzi, per essere sinceri, tutti guardavano Bob e gli sorridevano.
             In  qualche  occhiata  o  espressione  mi  pareva  di  scorgere  anche  una  certa

          perplessità: come biasimarli? Uno spilungone allampanato vestito di nero che gira
          con un gatto in spalla, non era un’immagine tanto frequente neanche in una città come
          Londra!

             Alcune  di  quelle  persone  non  si  limitavano  a  sorriderci  ma  si  fermavano  per
          scambiare due chiacchiere.
             «Che  adorabile  gattino»,  esclamò  un’elegante  signora  di  mezza  età  carica  di
          pacchetti  e  sacchetti.  «Quanto  è  carino.  Posso  accarezzarlo?»  mi  chiese
          avvicinandosi.

             «Ma certo», le risposi, pensando che quello che stava succedendo era un fatto più
          unico che raro.
             La donna posò a terra tutti gli acquisti che teneva in mano e accostò il suo viso a

          quello di Bob.
             «Un vero amore», continuò, «un maschietto, giusto?»
             «Sì», dissi timidamente.
             «Non si vedono spesso scenette come questa. Per essere così tranquillo sulla sua
          spalla, deve fidarsi ciecamente di lei.»

             Avevo  appena  salutato  la  signora,  quando  si  avvicinarono  due  ragazze,  che
          risultarono essere due svedesi in vacanza a Londra.
             «Come  si  chiama?  Possiamo  fotografarlo?»  chiesero  in  coro  e,  mentre  stavo

          ancora annuendo, scattarono la foto.
             «Si chiama Bob», balbettai.
             «Oh, simpatico!»
             Restammo a chiacchierare per qualche minuto; una delle ragazze aveva un gatto e
          mi mostrò delle immagini sul telefonino. Fui costretto a tagliare la corda, anche se lo
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