Page 54 - A spasso con Bob
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L’artista della fuga
LA vita in strada non è mai una passeggiata, devi sempre aspettarti qualche
sorpresa da un momento all’altro. Questa lezione l’avevo imparata da tempo.
Gli assistenti sociali definiscono «disordinate» le esistenze delle persone come
me perché non ci conformiamo alla loro idea di normalità, ma per noi la vita che
conduciamo è normale.
Avevamo ormai trascorso la nostra prima estate insieme e l’autunno era alle porte,
quando la vita dalle parti di Covent Garden si complicò. Niente di cui stupirsi, ero
comunque abituato ai cambiamenti.
Bob continuava ad avere i suoi ammiratori, soprattutto tra i turisti che gli
dedicavano sempre grande attenzione. Suonando all’aperto, avevo sentito parlare
quasi tutte le lingue del mondo, dall’afrikaan al gallese, e avevo anche imparato la
parola «gatto» in molti idiomi diversi. Ho scoperto che gatto si dice in cinese māo.
Rimasi molto sorpreso perché Mao era il nome del loro grande leader e anche
perché un altro cinese famoso aveva pronunciato la frase: «Non mi importa se il
gatto è bianco o nero, basta che prenda i topi», che pare avesse trasformato la Cina!
Comunque, qualunque fosse la lingua parlata, il messaggio restava sempre lo
stesso: tutti amavano Bob.
Avevamo anche un gruppetto di locali che lavorava in zona e che tutte le sere ci
passava davanti tornando a casa. Alcuni si fermavano a salutarci e due di loro si
erano così affezionati a Bob da portargli sempre un regalino.
Purtroppo però non c’erano solo gli amici. Tanto per cominciare, i Guardiani di
Covent Garden avevano iniziato a starmi alle costole. In un paio di occasioni, mentre
suonavo in James Street fuori della stazione della metro, si erano avvicinati e mi
avevano ammonito, citando il regolamento e ricordandomi che quell’area era
riservata alle statue umane. Poco importava se al momento non ce ne fosse neanche
una in giro.
«Conosce le regole, vero?» continuava a ripetermi il Guardiano.
Sì, conoscevo il regolamento, ma sapevo ugualmente che a volte si possono fare
delle eccezioni. Almeno così la pensavamo noi artisti di strada. Se fossimo stati ligi
a tutte le regole forse avremmo scelto un altro lavoro.
Così tutte le volte che venivo «pizzicato», mi spostavo un po’ più in là e dopo un
paio di ore tornavo in James Street. Era un rischio che potevo correre perché non si
era mai sentito in giro che la polizia fosse intervenuta in situazioni simili.
A crearmi invece maggiori problemi era il personale della stazione della
metropolitana. In particolare, c’erano due controllori che avevano deciso di farmi la
guerra. Inizialmente c’erano state solo occhiatacce, poi erano seguiti commenti
abbastanza sgradevoli tutte le volte che mi sistemavo all’ingresso della stazione.
Un giorno, uno dei due mi si avvicinò con fare minaccioso: era grande e grosso,
sempre sudato dentro la sua divisa blu.