Page 116 - A spasso con Bob
P. 116

«Ah, siete tornati! Allora non siete scappati con il primo premio della lotteria!» Il

          benvenuto era sincero e affettuoso.
             Una signora ci consegnò persino un bigliettino con un CI  SIETE  MANCATI e per la
          prima volta provai la piacevole sensazione di sentirmi a casa.

             Non tutti però ci accolsero con la stessa cordialità.
             Un  tardo  pomeriggio  dovetti  discutere  piuttosto  animatamente  con  una  donna  di
          nazionalità cinese. Non era la prima volta che la vedevo, l’avevo già notata perché
          ci rivolgeva sguardi di disapprovazione. Quella volta, però, si avvicinò e con il dito
          puntato mi aggredì a voce alta: «Non è possibile, questo non è possibile!»

             «Scusi, che cosa? Non capisco», chiesi calmo.
             «Un gatto non può stare così tranquillo. No. È impossibile. Lei lo droga. Droga il
          gatto», gridò.

             Non  potevo  lasciar  perdere  un’accusa  simile,  era  troppo  grave.  Peraltro  già  a
          Covent  Garden,  quando  suonavo  la  chitarra,  qualcuno  aveva  fatto  una  simile
          insinuazione. Un saccente spocchioso si era fermato davanti a noi e mi aveva detto
          senza mezzi termini che mi teneva d’occhio.
             «So bene che cosa fai e credo anche di sapere che cosa gli dai per farlo stare così

          buono», mi aveva sibilato dall’alto della sua presunzione.
             «Ah, sì? Mi dica, allora, di cosa si tratta, signore», avevo risposto, sfidandolo.
             «Sì, certo come no. Se te lo dico cambi immediatamente sostanza», aveva ribattuto

          il saccentone.
             «Eh, no, amico. Tu hai fatto un’accusa precisa, e adesso non puoi tirarti indietro»,
          gli avevo strillato, pronto a difendermi.
             A quel punto se l’era data a gambe e aveva fatto bene perché, se avesse continuato
          con quella storia, non ci avrei visto più dalla rabbia.

             La cinese, in pratica, mi stava rivolgendo la stessa accusa infamante, così utilizzai
          la medesima strategia.
             «Sia più chiara, signora, secondo lei cos’è che gli sto dando?» le chiesi con voce

          sicura.
             «Non lo so», mi rispose seccata. «Ma è ovvio che gli dà qualcosa», insisté.
             «Se lo sto drogando, come lei crede, come mai continua a seguirmi tutti i giorni?
          Perché non scappa appena può? Non posso certo drogarlo davanti a tutti.»
             «Ma che…» grugnì lei e, agitando le braccia, girò i tacchi e si mischiò alla folla.

             Prima di perderla di vista la sentii bofonchiare ancora un’ultima volta: «Non è
          possibile».
             Avevo  dovuto  fare  i  conti  con  situazioni  simili  già  da  tempo:  c’era  sempre

          qualcuno che pensava che mi approfittassi di Bob, o che detestava i gatti o che, più
          semplicemente,  non  accettava  l’idea  che  un  venditore  di Big  Issue  avesse  per
          compagnia un adorabile gatto anziché un cane ringhioso, come succedeva di solito.
             Un  paio  di  settimane  prima  dell’incidente  con  la  signora  cinese,  avevo  dovuto
          affrontare un’altra spiacevole discussione.
   111   112   113   114   115   116   117   118   119   120   121