Page 121 - A spasso con Bob
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Se  da  Camden  Passage  si  fosse  diretto  a  nord,  avrebbe  raggiunto  Essex  Road,

          sbucando sulla strada principale che conduce a Dalston. Eravamo già stati da quelle
          parti, però mai di notte.
             Cominciavo  a  perdere  le  speranze  quando  incrociai  una  donna  a  pochi  metri

          dall’uscita verso Islington Green che mi indicò la via davanti a noi.
             «Ho  visto  un  gatto  che  correva  come  un  razzo»,  mi  riferì.  «Andava  in  quella
          direzione, sembrava voler attraversare la strada e raggiungere l’altro marciapiede.»
             Uscito da Camden Passage, mi guardai attorno: a Bob piaceva Islington Green e si
          fermava  in  qualche  giardino  per  i  suoi  bisogni.  Inoltre  era  qui  che  lo  portavo  in

          ambulatorio. Valeva la pena dare un’occhiata. Attraversai la strada e mi diressi in un
          piccolo  spiazzo  erboso  recintato  da  cespugli  sotto  i  quali  Bob  si  era  spesso
          attardato.  Mi  inginocchiai  per  un’ispezione. Anche  se  la  zona  non  era  illuminata,

          pregai Iddio di scorgere un paio di bottoncini fosforescenti tra il fogliame.
             «Bob, Bob, amico mio, sei lì?»
             Nessuna risposta.
             Mi  spostai  dall’altra  parte  e  gridai  il  suo  nome  un  paio  di  volte,  ma  a  parte  i
          grugniti di una coppia di ubriachi seduti sulle panchine, non sentii niente altro che il

          rumore delle auto.
             Lasciai Green e mi trovai di fronte la grande libreria Waterstone. C’eravamo stati
          spesso insieme e il personale gli aveva sempre fatto un sacco di coccole. Mi stavo

          disperatamente aggrappando a ogni speranza e pensai che potesse aver riconosciuto
          il posto e vi avesse cercato rifugio.
             Nel negozio regnava il silenzio, solo qualche cliente che sfogliava dei volumi sui
          banconi e i librai che si preparavano a chiudere. Riconobbi una delle commesse alla
          cassa. Ero in un lago di sudore, respiravo a fatica e dovevo avere l’aspetto di una

          persona sull’orlo della follia.
             «Si sente bene?» s’informò la donna.
             «Ho perso Bob. Un cane ci ha attaccato e lui è scappato. Non è entrato da voi,

          vero?»
             «Oh, no», mi rispose preoccupata. «Sono sempre stata qui e non l’ho visto. Ma
          aspetti un attimo, voglio chiedere ai colleghi del piano superiore.» Li chiamò. «Non
          è che per caso avete visto un gatto su da voi?»  Dal leggero movimento del capo,
          capii tutto quello che c’era da sapere.

             «Mi dispiace», aggiunse, «ma le prometto che, se qualcuno di noi lo vede, faremo
          in modo di trattenerlo.»
             Dopo averla ringraziata, uscii dal negozio e nel buio della sera fui colpito dalla

          cruda verità: lo avevo perso.
             Ero  a  pezzi,  non  sapevo  più  dove  sbattere  la  testa.  Continuai  a  camminare  per
          Essex Road, ma smisi di chiedere nei locali pubblici.
             Quello era il percorso che facevamo ogni mattina per andare al lavoro e ogni sera
          per tornare a casa. Quando vidi l’autobus per Tottenham un altro pensiero mi balenò
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