Page 123 - A spasso con Bob
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del  mio  affetto?  Forse  quando  il  rottweiler  ci  aveva  attaccati,  non  mi  aveva  più

          ritenuto in grado di proteggerlo? Soltanto pensarlo mi faceva venire voglia di urlare.
             Quando in lontananza vidi la strada in cui abitava Belle, avevo ormai le lacrime
          agli occhi: che cosa avrei mai potuto combinare nella vita senza di lui? Non avrei

          mai più incontrato un compagno come Bob. E fu proprio mentre facevo queste tristi
          considerazioni  che,  per  la  prima  volta  dopo  anni,  sentii  che  avevo  assolutamente
          bisogno di una dose.
             Cercai di scacciare immediatamente il pensiero, ma nel mio inconscio si scatenò
          una guerra. Da qualche parte, nei meandri del mio cervello, mi dicevo che se avevo

          veramente perso Bob, non sarei stato in grado di affrontare la situazione e dovevo
          assolutamente anestetizzare il dolore insopportabile che in parte stavo già provando.
             Belle, come me, aveva lottato per anni contro la droga, ma io sapevo che la sua

          coinquilina  si  faceva  ancora.  Più  mi  avvicinavo  alla  via  e  più  i  miei  pensieri
          diventavano orribili. Erano più di due ore che vagavo per la città e, quando raggiunsi
          lo stabile in cui viveva la mia amica, dovevano essere più o meno le dieci di sera. In
          lontananza  sentii  il  suono  di  una  sirena  della  polizia:  forse  gli  agenti  si  stavano
          precipitando in un pub perché c’era stato un accoltellamento o una scazzottata tra

          clienti. Non me ne poteva importare di meno.
             Fu  nel  momento  in  cui  percorsi  il  vialetto  diretto  all’ingresso  dello  stabile
          debolmente illuminato che notai qualcosa nella semioscurità. Era indiscutibilmente

          la sagoma di un gatto seduto di fianco al portone, ma avevo ormai abbandonato ogni
          speranza  di  ritrovarlo,  perciò  mi  dissi  che  sicuramente  si  trattava  di  un  altro
          randagio che cercava riparo dal freddo. Poi però vidi il muso, quel musino per me
          inconfondibile.
             «Bob…»

             Dalla sua gola uscii un miagolio triste, lo stesso che aveva emesso tre anni prima,
          quasi a dirmi: Ma dove sei stato finora, sono ore che ti aspetto!»
             Lo sollevai da terra, lo presi tra le braccia e lo strinsi al petto.

             «Se  continuerai  a  scappare  in  questo  modo,  prima  o  poi  mi  farai  venire  un
          infarto»,  gli  sussurrai  mentre  in  silenzio  mi  domandavo  come  fosse  riuscito  ad
          arrivare fin lì. Poi tutti i tasselli del puzzle tornarono al loro posto e mi sentii uno
          stupido per non averci pensato prima.
             Eravamo andati insieme a trovare Belle un sacco di volte e durante la mia assenza

          lui aveva trascorso sei settimane a casa sua, era logico che fosse quello il luogo in
          cui cercare aiuto. Ma come aveva fatto a trovare la strada? Dalla casa di Belle al
          nostro presidio c’erano più di due chilometri e mezzo.  Da quanto tempo mi stava

          aspettando?
             Però tutto questo ormai non aveva più importanza: avevo di nuovo tra le braccia il
          mio Bob che faceva le fusa e mi leccava la mano con quella linguetta ruvida come
          carta vetrata. Poi sfregò la sua testina contro il mio collo e arricciò la coda.
             Suonai  il  campanello  di  Belle  e  lei  mi  invitò  a  entrare:  ero  passato  dalla
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